Riflessioni

DIECI RAGIONI PER DARE MAGGIORE SPAZIO IN OGNI GRADO DI SCUOLA ALLA MUSICA

di Franco Lorenzoni

Ragionando riguardo alla necessità di dare maggiore spazio alla musica in ogni grado di scuola mi è tornata alla menta la folgorante affermazione di Debora che a 9 anni, alla Magliana, nel mio primo anno di insegnamento come supplente, un giorno affermò convinta: “Senza la musica io strozzerei mio fratello”. Nitida frase che di per sé vale un programma.

Ci sono almeno altre dieci ragioni per aprire maggiormente alla musica le nostre scuole.

1. LA MUSICA È UN TERRITORIO DI RICONOSCIMENTO PER GLI ADOLESCENTI. 

E’ davvero incredibile quanto la scuola sia quasi sempre sorda e non si accorga di un linguaggio così rilevante nella vita culturale degli studenti. Linguaggio che ragazze e ragazzi frequentano continuamente in molteplici modi, e che potrebbe intrecciarsi a tante conoscenze che la scuola propone. In un tempo in cui le sofferenze adolescenti si moltiplicano a dismisura sarebbe importante accogliere e valorizzare questo canale di fruizione ed espressione necessario per affrancarsi e in certi casi salvarsi da un mondo che spesso i più giovani vivono come ostile. 

2. LA MUSICA CREA COMUNITÀ. 

Quando si canta e si suona in gruppo l’ascolto reciproco è necessario e lo si impara insieme. E l’ascolto è la principale postura capace di trasformare la classe in una comunità, perché comunità si dà quando si sviluppano curiosità reciproche. La musica inoltre può favorire l’incontro con proposte e realtà esterne che la scuola può ospitare per dare a ragazze e ragazzi una possibilità in più di scoprire i talenti di ciascuno.

3. LA MUSICA È UNA GRANDE ALLEATA DELLA MEMORIA. 

Nell’antica Grecia la letteratura si chiamava musiké perché Omero è sempre stato cantato. Intere generazioni di analfabeti hanno imparato a memoria opere liriche e poemi perché ne ricordavano il ritmo. Il canto facilita enormemente la memoria. Qualsiasi bambino impara molto più facilmente una canzone che una poesia, anche perché nelle poesie siamo poco avvezzi a cogliere il ritmo che ce le può fare avvicinare.

5. LA MUSICA È IL PRINCIPALE LUOGO DI CONNESSIONI INTERCULTURALI. 

La musica si è sempre giovata di contaminazioni di ogni tipo, capaci di attraversare oceani e mescolare culture di continenti lontani. Di questo abbiamo estremo bisogno perché una scuola democratica, oggi, deve fondarsi su un convinto elogio della disomogeneità. E l’ascolto e la pratica della musica può esserci di aiuto, per la sua capacità di infischiarsene dei confini e delle angustie di ogni autarchia culturale anche perché, come scrisse Walter Benjamin, “la musica è l’unica lingua universale che ci resta dopo il crollo della torre di Babele”. 

6. LA MUSICA È CORPO, RESPIRO, RITMO, FIATO, MANI, PRESENZA. 

Pitagora, a cui è attribuita la scoperta delle sette note, sembra le abbia distinte ascoltando i fabbri che battevano il ferro nel paese della Calabria dove aveva fondato la sua scuola. Nel tempo del digitale imperante, la fisicità del rapporto con uno strumento credo resti fondamentale. Una delle sensazioni che più mi emoziona entrando in una scuola media o liceo musicale, sta nel vedere studentesse e studenti circolare per i corridoi con i loro diversi strumenti. Nelle nostre scuole sono rare le possibilità di scelta. Talvolta l’unica scelta possibile sembra essere quella tra studiare o non studiare. E invece la possibilità di scegliere quale strumento suonare può mettere ragazze e ragazzi in connessione con se stessi, scoprendo qualcosa di più del proprio carattere. E trovare quale ruolo giocare con gli altri in un gruppo, in un coro o in un’orchestra mostra quanto la connessione creativa sia alla base di questo linguaggio. 

7. IL JAZZ È TERRENO DI MESCOLANZA TRA ORALITÀ E SCRITTURA. 

Nell’elaborazione di testi collettivi l’arricchimento della scrittura sta in un continuo passaggio tra scrittura e oralità, nello scegliere parlando e discutendo le migliori parole da scrivere. Anche nel Jazz c’è un continuo passaggio tra oralità e scrittura e i due linguaggi potrebbero parlarsi e arricchirsi reciprocamente. 

8. LA POSSIBILITÀ DI INCONTRARE UNA PASSIONE CHE SCUOTE. 

A ragazze e ragazzi fa un gran bene incontrare adulti appassionati, anche “fissati”, perché spinti da una urgenza creativa capace di contrastare ogni pigrizia. L’immagine peggiore di futuro che può dare una società sta nell’affidare le giovani generazioni ad adulti opachi, disincantati, privi di domande e di energia. Il contatto con un’arte vitale come la musica non garantisce l’incontro con adulti capaci di eros educativo, ma può aprire a possibilità inedite, quando si vive la relazione educativa come ricerca continua. 

9. LA DIFFERENZA TRA ARTE E ARTIGIANATO CREATIVO. 

La distribuzione dei talenti è arbitraria e ingiusta e l’arte, purtroppo, non è distribuita democraticamente. E’ illusorio pensare che tutti si sia artisti, eppure credo che tutte e tutti abbiano diritto di frequentare nei modi più vari e ricchi le arti, mettendosi in gioco e sperimentando quanto possa dare l’artigianato creativo all’espressione sincera di sé. E un incontro continuato e precoce con le arti può rivelare talenti in chi non sapeva di possederli. E questa sì che è una funzione democratica a cui la scuola dovrebbe dedicare attenzione.

10. GLI ARTISTI NON SONO SEMPRE BUONI MAESTRI. 

Sovente sono così concentrati nella loro arte che non sono in grado di accogliere e ascoltare difficoltà e ostacoli che incontrano allieve e allievi. E allora, nell’auspicare una maggiore diffusione della musica nella scuola dobbiamo stare attenti a curare la sensibilità pedagogica in chi la insegna e la propone.

FERITE CHE CONDIZIONANO L’APPRENDIMENTO

A questo proposito c’è una esperienza della mia infanzia che torna inesorabilmente alla memoria. I miei genitori amavano molto la musica e da bambino mi iscrissero a un corso di coro alla Filarmonica Romana diretto da un certo don Colino. Un giorno, mentre cantavamo, don Colino mi disse con piglio deciso: “Tu stai zitto perché stoni”. Rimasi così male che da allora cominciai ad aprire la bocca nel coro senza più emettere un suono. Nonostante questo, un altro giorno mi intimò di nuovo in modo brusco di non cantare perché stonavo. Io sapevo che non era vero, perché non stavo cantando e quell’esclusione era ingiustificata, ma la ferita fu tale da segnarmi per tutta la vita, tanto che ancora oggi, a settant’anni, mi vergogno quando si canta insieme e cerco di defilarmi o di partecipare cantando sottovoce. Solo con i bambini riesco a cantare serenamente, pur riconoscendo che non sono certo un granché. 

Ho raccontato questo episodio perché il canto è qualcosa di molto intimo, che ci denuda e ci espone. Credo vada diffuso in ogni sua forma, ma facendo molta attenzione ai modi in cui lo si propone, perché non accada che invece di aprire all’arte e all’espressione di sé non ostacoli o frustri un incontro felice con la musica. 

Qual è la differenza?

In questo periodo dell’anno, che ormai volge al termine, si assemblano tante emozioni che in parte vivo in prima persona e in parte vivo riflesse come se fossi una studentessa e non una docente.

In particolare, mi sorprendo della mia calma…la calma nel saper aspettare che un discorso, un’affermazione prenda la forma che vuole prendere pur anticipando con una certa esattezza, l’approdo finale che da lì a poco si dichiarerà. Aspetto con cura che le parole, a volte concitate, a volte fragili e incerte degli studenti possano essere accolte con la sorpresa e l’entusiasmo che meritano.  E questa sospensione è forse l’aspetto che più m’incuriosisce non solo per gli effetti che produce sul gruppo ma anche su quelli che produce su di me.

E’ come un gioco di specchi che faccio con me stessa nel silenzio dei mie pensieri…e così, pacatamente, senza fretta, in silenzio, attendo…attendo che i pensieri  degli studenti diventino parole , che possano risuonare con tutta l’energia e l’urgenza che si mostra quando hai un’illuminazione ed una forza che quasi non riesci a controllare ..una energia giovanile che irrompe ingenua e travolgente sapendo che può farlo perché sa  che sarà accolta e non giudicata.

Questa fiducia che metto al primo posto nella relazione con gli studenti adesso è una certezza anche per tutti loro.

E guardo gli occhi incuriositi che mi guardano aspettando una reazione, o che ancora una volta riesca ad aprire una finestra che magari non avevano ancora vista…eppure era già lì.

Qual è la differenza? Cosa fa la differenza?

Forse il tempo che passa, l’esperienza maturata in tanti anni di insegnamento?

In questo tempo così incerto, in un clima di precarietà generale mi sento a volte tanto fragile e forte allo stesso tempo, capace di dare sicurezza e di non sentirne sempre altrettanto per me…

Eppure, percepisco chiaramente l’efficacia di questa attesa fiduciosa …la vedo rispecchiata nello sguardo curioso, sospeso ma allo stesso tempo determinato degli studenti….

L’esperienza diretta del fare musica nella mia pratica di insegnamento ha preso una forma diversa da prima; non è più tanto importante ciò che propongo, ma piuttosto ciò che il riflettere insieme al gruppo genera: porsi domande ha acquistato una dimensione sempre più importante.

Per me, professionalmente e non solo, è sempre stato determinante generare quesiti ma in questi anni il mio fare didattico è certamente più proiettato a stimolare il pensiero collettivo e singolo.

 Mi piace moltissimo veder nascere una riflessione originale, vedere frantumarsi una convinzione stereotipata, sbocciare un’intuizione vitale e frizzante anche se incerta.

Forse è qui la differenza ed il valore dell’attesa, del silenzio dell’insegnante  capace di restituire così ad ogni studente quel tempo prezioso per generare autonomamente la propria unicità.