Questa estate ho letto l’articolo di Franco Lorenzoni che mi ha molto sorpreso e sconcertato allo stesso tempo per varie ragioni. In primis la possibilità di articolare un decalogo sul valore formativo della musica a scuola argomentando parzialmente tematiche molto complesse sia sul piano pedagogico-didattico che specifico musicale. L’altro aspetto che non mi ha convinta riguarda la non conoscenza di tutto il mondo che si muove intorno alla ricerca e sperimentazione pedagogica musicale che, da più di trent’anni si svolge nelle Scuole di Didattica della Musica presenti in molti Conservatori di Musica italiani.
Premetto che ho letto tutti i libri scritti da Franco Lorenzoni e li ho fatti leggere ai miei studenti apprezzandone la chiarezza espositiva, le idee pedagogiche, le modalità didattiche che abbiamo riportato sempre nel nostro specifico musicale. Forse proprio per questa stima e considerazione il decalogo proposto da Lorenzoni è stata, per me, una sorpresa preoccupante.
Come docente di Pedagogia Musicale da più di vent’anni mi sono sentita toccata dai contenuti espressi in questo articolo e ho deciso di scrivere alcune osservazioni critiche in riferimento ai singoli punti trattati.
DIECI RAGIONI PER DARE MAGGIORE SPAZIO IN OGNI GRADO DI SCUOLA ALLA MUSICA
Ragionando riguardo alla necessità di dare maggiore spazio alla musica in ogni grado di scuola mi è tornata alla menta la folgorante affermazione di Debora che a 9 anni, alla Magliana, nel mio primo anno di insegnamento come supplente, un giorno affermò convinta: “Senza la musica io strozzerei mio fratello”. Nitida frase che di per sé vale un programma.
Ci sono almeno altre dieci ragioni per aprire maggiormente alla musica le nostre scuole.
1. LA MUSICA È UN TERRITORIO DI RICONOSCIMENTO PER GLI ADOLESCENTI.
E’ davvero incredibile quanto la scuola sia quasi sempre sorda e non si accorga di un linguaggio così rilevante nella vita culturale degli studenti. Linguaggio che ragazze e ragazzi frequentano continuamente in molteplici modi, e che potrebbe intrecciarsi a tante conoscenze che la scuola propone. In un tempo in cui le sofferenze adolescenti si moltiplicano a dismisura sarebbe importante accogliere e valorizzare questo canale di fruizione ed espressione necessario per affrancarsi e in certi casi salvarsi da un mondo che spesso i più giovani vivono come ostile.
2. LA MUSICA CREA COMUNITÀ.
Quando si canta e si suona in gruppo l’ascolto reciproco è necessario e lo si impara insieme. E l’ascolto è la principale postura capace di trasformare la classe in una comunità, perché comunità si dà quando si sviluppano curiosità reciproche. La musica inoltre può favorire l’incontro con proposte e realtà esterne che la scuola può ospitare per dare a ragazze e ragazzi una possibilità in più di scoprire i talenti di ciascuno.
Tutte le attività collettive possono creare comunità: i giochi di squadra, le attività di gruppo in una classe, i gruppi escursionistici…insomma, tutti coloro che si ritrovano insieme per fare qualcosa di comune che condividono. La musica non ha nulla di speciale né di diverso in questo senso.
Per quanto riguarda poi la capacità di ascoltarsi ed ascoltare anche questa non è garantita dalla pratica musicale ma piuttosto da una cura e attenzione a ciò che accade nel momento in cui accade. Curare l’attenzione ed il silenzio fisico ed emozionale che ci permetta di percepire e percepirsi mentre si suona o si canta, da soli o insieme, in un ambiente, in uno stato fisico, in uno stato emotivo preciso…sono molteplici le variabili che intervengono durante l’ascolto e tutte concorrono a delineare le qualità del momento presente.
La capacità da sviluppare, anche sul piano formativo, è piuttosto quella di sapersi porre le domande capaci di generare un ascolto attento, curato e capace di restituire una sorprendente variabilità di rifrazioni possibili.
3. LA MUSICA È UNA GRANDE ALLEATA DELLA MEMORIA.
Nell’antica Grecia la letteratura si chiamava musiké perché Omero è sempre stato cantato. Intere generazioni di analfabeti hanno imparato a memoria opere liriche e poemi perché ne ricordavano il ritmo. Il canto facilita enormemente la memoria. Qualsiasi bambino impara molto più facilmente una canzone che una poesia, anche perché nelle poesie siamo poco avvezzi a cogliere il ritmo che ce le può fare avvicinare.
Sarei più prudente ad elevare il ritmo come elemento musicale da privilegiare nelle pratiche formative.
Nelle proposte didattiche musicali troppo spesso oggi, si assiste ad interventi di tipo ammaestrativo: la body percussion, modello che va molto di moda, ne è un esempio perfetto. I bambini, gli adolescenti o, peggio ancora gli insegnanti, ripetono a sfinimento, cellule ritmiche-gestuali che si sovrappongono a brani musicali con il risultato, piuttosto avvilente, di produzioni stereotipate e prive di valore pedagogico -formativo in termini di generazione di pensiero e di domande maieutiche e riflessioni metacognitive sugli aspetti sonori. Quindi, non solo sfruttano le capacità di memorizzazione motoria esclusivamente per imitazione ritmica, ma nulla offrono alla capacità di generare un pensiero analitico sul brano musicale al quale si sovrappongono. Sono ripetizioni e coreografie statiche ma, popolarmente comuni, che restituiscono della pratica didattica, un’immagine di ammaestramento fine a sé stesso.
Ma la memoria musicale, nella pratica didattica in particolare, dovrebbe essere qualcosa di più complesso e sorprendente. In particolare, mi riferisco alla capacità di liberarsi dalle abitudini e pre-giudizi che ci distanziano dalla nostra esperienza lasciando che l’orecchio possa rivolgere una nuova attenzione al sonoro ascoltando il proprio mondo interiore ed il mondo sociale per attivare una costruzione del sé che non può essere di natura autosufficiente.
5. LA MUSICA È IL PRINCIPALE LUOGO DI CONNESSIONI INTERCULTURALI.
La musica si è sempre giovata di contaminazioni di ogni tipo, capaci di attraversare oceani e mescolare culture di continenti lontani. Di questo abbiamo estremo bisogno perché una scuola democratica, oggi, deve fondarsi su un convinto elogio della disomogeneità. E l’ascolto e la pratica della musica può esserci di aiuto, per la sua capacità di infischiarsene dei confini e delle angustie di ogni autarchia culturale anche perché, come scrisse Walter Benjamin, “la musica è l’unica lingua universale che ci resta dopo il crollo della torre di Babele”.
Qui il tema è sicuramente molto complesso e sono sicura che non basta la pratica della musica o dell’ascolto per sentirsi “cittadini del mondo”. Ogni genere musicale viaggia insieme ad una visione, della musica sua specifica quindi abbiamo molti modi di pensare la stessa musica che sono condizionati da tutto ciò che vincola il pensiero sulla musica (strutture sociali, politiche ecc). Con questo sguardo la musica diventa un mezzo, non soltanto per avvicinarsi a culture diverse, ma anche per cambiare le proprie posizioni, per ridisegnare la propria identità musicale e non solo.
Inoltre, ogni linguaggio musicale si avvale di codici diversi a seconda della storia culturale dei singoli popoli. È vero che la Musica travalica i confini perché tutti gli uomini hanno orecchie, ma non è detto che il semplice ascolto avvicini o coinvolga automaticamente.
Se s’includesse nell’esperienza sonora il tempo e lo spazio intorno a noi dando valore e riconoscimento intellettuale a tutto ciò che fa parte del “senso sensibile” e non solo del “senso sensato” come definito da J.L. Nancy ci troveremo a stupirci delle scoperte che potremo fare ascoltando il sonoro del mondo e la pervasività del suono nelle nostre vite e negli spazi in cui viviamo.
6. LA MUSICA È CORPO, RESPIRO, RITMO, FIATO, MANI, PRESENZA.
Pitagora, a cui è attribuita la scoperta delle sette note, sembra le abbia distinte ascoltando i fabbri che battevano il ferro nel paese della Calabria dove aveva fondato la sua scuola. Nel tempo del digitale imperante, la fisicità del rapporto con uno strumento credo resti fondamentale. Una delle sensazioni che più mi emoziona entrando in una scuola media o liceo musicale, sta nel vedere studentesse e studenti circolare per i corridoi con i loro diversi strumenti. Nelle nostre scuole sono rare le possibilità di scelta. Talvolta l’unica scelta possibile sembra essere quella tra studiare o non studiare. E invece la possibilità di scegliere quale strumento suonare può mettere ragazze e ragazzi in connessione con se stessi, scoprendo qualcosa di più del proprio carattere. E trovare quale ruolo giocare con gli altri in un gruppo, in un coro o in un’orchestra mostra quanto la connessione creativa sia alla base di questo linguaggio.
Sorvolando sull’aneddotica riferita a Pitagora, che certo non scoprì le sette note ma piuttosto studiò i rapporti tra i suoni sul monocordo, anche sulla scelta dello strumento musicale ci sarebbe da aprire un ampio dibattito; infatti, quasi sempre la scelta è casuale e non consapevole e quando si “sbaglia” la scelta dello strumento s’incorre in una serie di problemi che non sempre si risolvono serenamente. Così come nello sport molti atleti, prima di scegliere la specialità più consona sperimentano varie discipline, così avrebbe senso operare anche per la scelta dello strumento.
Quest’immagine poetica di giovani che nei corridoi suonano i loro strumenti andrebbe un po’ ridimensionata su un piano di realtà dove, per esempio, non sempre la pratica strumentale rappresenta per lo studente una pratica liberatoria e autenticamente espressiva. Molto spesso si riduce ad un’esecuzione, e non interpretazione, di brani scritti da altri dove l’apporto personale è spesso limitato se non addirittura escluso.
7. IL JAZZ È TERRENO DI MESCOLANZA TRA ORALITÀ E SCRITTURA.
Nell’elaborazione di testi collettivi l’arricchimento della scrittura sta in un continuo passaggio tra scrittura e oralità, nello scegliere parlando e discutendo le migliori parole da scrivere. Anche nel Jazz c’è un continuo passaggio tra oralità e scrittura e i due linguaggi potrebbero parlarsi e arricchirsi reciprocamente.
Se è vero che è importante la qualità delle domande che ci poniamo difronte ad un ascolto, di qualunque genere sia, allora possiamo evitare di stigmatizzare solo una tipologia di repertorio e aprire il nostro orecchio ai suoni del mondo. La musica contemporanea, intendendo il repertorio da Cage ai giorni nostri, genera sicuramente molte domande uscendo dai confini consolidati della melodia e del ritmo ripetitivo che in troppi video, dedicati alla formazione dei bambini, continuano a mostrare come risultati da emulare magari anche con volumi di decibel altissimi! Tutti come soldatini ad imitare, a memorizzare, a rappresentare coreografie militaresche che molto poco hanno a che fare con la capacità critica di ascoltare, comporre, interpretare e, in sostanza, porsi le domande generative che così tanto aprono la mente a scenari inusuali e ad esperienze realmente creative. Per cui indicare un genere di preferenza, che sia jazz o classico o altro, è pedagogicamente una totale assurdità non solo perché limita l’orizzonte conoscitivo ma soprattutto perché inquina con un giudizio estetico che può solo condizionare, la formazione musicale degli studenti. Sarebbe come dire che la letteratura italiana è “terreno di mescolanza tra oralità e scrittura” e tutte le altre letterature non lo sono. Così vale per la musica!
8. LA POSSIBILITÀ DI INCONTRARE UNA PASSIONE CHE SCUOTE.
A ragazze e ragazzi fa un gran bene incontrare adulti appassionati, anche “fissati”, perché spinti da una urgenza creativa capace di contrastare ogni pigrizia. L’immagine peggiore di futuro che può dare una società sta nell’affidare le giovani generazioni ad adulti opachi, disincantati, privi di domande e di energia. Il contatto con un’arte vitale come la musica non garantisce l’incontro con adulti capaci di eros educativo, ma può aprire a possibilità inedite, quando si vive la relazione educativa come ricerca continua.
9. LA DIFFERENZA TRA ARTE E ARTIGIANATO CREATIVO.
La distribuzione dei talenti è arbitraria e ingiusta e l’arte, purtroppo, non è distribuita democraticamente. E’ illusorio pensare che tutti si sia artisti, eppure credo che tutte e tutti abbiano diritto di frequentare nei modi più vari e ricchi le arti, mettendosi in gioco e sperimentando quanto possa dare l’artigianato creativo all’espressione sincera di sé. E un incontro continuato e precoce con le arti può rivelare talenti in chi non sapeva di possederli. E questa sì che è una funzione democratica a cui la scuola dovrebbe dedicare attenzione.
Questo vale per tutte le discipline e non solo per la Musica. Nessuno pretende da uno studente di essere Archimede per frequentare lezioni di matematica, così non necessariamente bisogna essere Mozart per conoscere la Musica.
10. GLI ARTISTI NON SONO SEMPRE BUONI MAESTRI.
Sovente sono così concentrati nella loro arte che non sono in grado di accogliere e ascoltare difficoltà e ostacoli che incontrano allieve e allievi. E allora, nell’auspicare una maggiore diffusione della musica nella scuola dobbiamo stare attenti a curare la sensibilità pedagogica in chi la insegna e la propone.
Parlerei di professionalità pedagogica-didattica proprio perché la professione d’insegnante è una pratica specialistica a tutti gli effetti e anche per l’insegnamento musicale è indispensabile curare la formazione dei futuri insegnanti. Nelle Scuole di Didattica della Musica dei Conservatori italiani si opera in questo senso offrendo non solo una preparazione tecnicistica, musicale e didattica,
ma anche una formazione relazionale, cooperativa e collaborativa capace di generare nuove proposte didattiche musicali non solo originali ma, e soprattutto, pensate e concepite con competenze pedagogiche specifiche e allineate agli ultimi studi che la ricerca ha elaborato in tutti questi anni.
La scuola non ha bisogno di artisti per insegnare Musica come non ha bisogno di Alighieri per insegnare la lingua italiana. Piuttosto ha bisogno di Docenti preparati a riconoscere le capacità e valorizzare i sogni di ciascun studente.
FERITE CHE CONDIZIONANO L’APPRENDIMENTO
A questo proposito c’è una esperienza della mia infanzia che torna inesorabilmente alla memoria. I miei genitori amavano molto la musica e da bambino mi iscrissero a un corso di coro alla Filarmonica Romana diretto da un certo don Colino. Un giorno, mentre cantavamo, don Colino mi disse con piglio deciso: “Tu stai zitto perché stoni”. Rimasi così male che da allora cominciai ad aprire la bocca nel coro senza più emettere un suono. Nonostante questo, un altro giorno mi intimò di nuovo in modo brusco di non cantare perché stonavo. Io sapevo che non era vero, perché non stavo cantando e quell’esclusione era ingiustificata, ma la ferita fu tale da segnarmi per tutta la vita, tanto che ancora oggi, a settant’anni, mi vergogno quando si canta insieme e cerco di defilarmi o di partecipare cantando sottovoce. Solo con i bambini riesco a cantare serenamente, pur riconoscendo che non sono certo un granché.
Ho raccontato questo episodio perché il canto è qualcosa di molto intimo, che ci denuda e ci espone. Credo vada diffuso in ogni sua forma, ma facendo molta attenzione ai modi in cui lo si propone, perché non accada che invece di aprire all’arte e all’espressione di sé non ostacoli o frustri un incontro felice con la musica.
La mortificazione non è certamente MAI uno strumento didattico, né in Musica, né in altre discipline.