In questo periodo dell’anno, che ormai volge al termine, si assemblano tante emozioni che in parte vivo in prima persona e in parte vivo riflesse come se fossi una studentessa e non una docente.
In particolare, mi sorprendo della mia calma…la calma nel saper aspettare che un discorso, un’affermazione prenda la forma che vuole prendere pur anticipando con una certa esattezza, l’approdo finale che da lì a poco si dichiarerà. Aspetto con cura che le parole, a volte concitate, a volte fragili e incerte degli studenti possano essere accolte con la sorpresa e l’entusiasmo che meritano. E questa sospensione è forse l’aspetto che più m’incuriosisce non solo per gli effetti che produce sul gruppo ma anche su quelli che produce su di me.
E’ come un gioco di specchi che faccio con me stessa nel silenzio dei mie pensieri…e così, pacatamente, senza fretta, in silenzio, attendo…attendo che i pensieri degli studenti diventino parole , che possano risuonare con tutta l’energia e l’urgenza che si mostra quando hai un’illuminazione ed una forza che quasi non riesci a controllare ..una energia giovanile che irrompe ingenua e travolgente sapendo che può farlo perché sa che sarà accolta e non giudicata.
Questa fiducia che metto al primo posto nella relazione con gli studenti adesso è una certezza anche per tutti loro.
E guardo gli occhi incuriositi che mi guardano aspettando una reazione, o che ancora una volta riesca ad aprire una finestra che magari non avevano ancora vista…eppure era già lì.
Qual è la differenza? Cosa fa la differenza?
Forse il tempo che passa, l’esperienza maturata in tanti anni di insegnamento?
In questo tempo così incerto, in un clima di precarietà generale mi sento a volte tanto fragile e forte allo stesso tempo, capace di dare sicurezza e di non sentirne sempre altrettanto per me…
Eppure, percepisco chiaramente l’efficacia di questa attesa fiduciosa …la vedo rispecchiata nello sguardo curioso, sospeso ma allo stesso tempo determinato degli studenti….
L’esperienza diretta del fare musica nella mia pratica di insegnamento ha preso una forma diversa da prima; non è più tanto importante ciò che propongo, ma piuttosto ciò che il riflettere insieme al gruppo genera: porsi domande ha acquistato una dimensione sempre più importante.
Per me, professionalmente e non solo, è sempre stato determinante generare quesiti ma in questi anni il mio fare didattico è certamente più proiettato a stimolare il pensiero collettivo e singolo.
Mi piace moltissimo veder nascere una riflessione originale, vedere frantumarsi una convinzione stereotipata, sbocciare un’intuizione vitale e frizzante anche se incerta.
Forse è qui la differenza ed il valore dell’attesa, del silenzio dell’insegnante capace di restituire così ad ogni studente quel tempo prezioso per generare autonomamente la propria unicità.