La molteplice natura delle relazioni empatiche
Alessandra Seggi
… similemente operando a l’artista ch’ha l’abito de l’arte e man che trema (Dante Alighieri, Divina Commedia Canto XIII del Paradiso, versetto n 73/77)
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Introduzione
L’espressione musicale ha da sempre fatto parte della comunicazione umana attraversando nei secoli modalità sonore socialmente e culturalmente condivise.
In questo senso l’oggetto musicale rappresenta un punto di convergenza nella relazione intersoggettiva e sociale in quanto capace di evocare risonanze di tipo senso-motorie e affettive sia in chi ascolta che in chi suona.
Alla base di queste capacità è il nostro essere sociale ed insieme costruttori di un’identità collettiva all’interno della quale è possibile ritrovare una condivisione che ci distingue ed, allo stesso tempo, accomuna gli uni agli altri.
L’opera musicale si esprime attraverso il corpo in azione e questo diventa il fulcro intorno al quale si costruisce una sintonizzazione che permetterà una concreta condivisione simulata dell’esperienza che facciamo tutti della realtà comune del mondo.
“La simulazione è (…) la principale strategia epistemica disponibile per organismi viventi come noi, che ricavano la propria conoscenza del mondo in virtù delle interazioni con esso intraprese.(…) un singolo meccanismo – la simulazione incarnata – è in grado di fornire un sostrato funzionale comune ad aspetti differenti dell’intersoggettività. E’ un processo funzionale che caratterizza la vita mentale, in quanto produttore di contenuti ricchi di significato. Ma è altresì incarnato non solo in quanto sub-personalmente realizzato a livello neuronale, ma soprattutto perché utilizza modelli delle interazioni corpo/mondo, e quindi implica forme pre-linguistiche di rappresentazione.”1
Durante la pratica esecutiva, infatti, l’interprete tende a trasferire, anche inconsapevolmente, su un piano gestuale un’idea sonora. Attraverso l’atto esecutivo rende leggibili le relazioni che si stabiliscono all’interno di quest’idea. Tali atti sono anche la causa diretta sia della qualità espressiva sia della qualità sonora del risultato acustico nel suo insieme.
Alla luce di queste osservazioni possiamo considerare l’oggetto artistico come un atto di natura sociale capace di evocare risonanze di natura senso-motoria ed affettiva in chi ascolta al pari di chi suona realmente. La natura intersoggettiva della performance musicale si rivela nella capacità di rappresentazione mimetica di chi ascolta e quindi partecipa, anche involontariamente all’atto musicale nel suo complesso.
“L’espressività è un tratto fondamentale dell’immediatezza mediata e corrisponde, tanto quanto la strumentalità o l’obiettività del sapere, alla tensione da compensare continuamente e all’intreccio tra corpo ed essere e corpo e avere. L’espressività è un modo originario per venire a capo del fatto di abitare in un corpo e contemporaneamente di avere un corpo.”2
Le ricerche neuroscientifiche dimostrano che l’intelligenza sociale dell’uomo non è di natura esclusivamente meta-cognitiva ma è in buona parte frutto di un accesso diretto al mondo dell’altro. In questo senso tutte le azioni, intenzioni, atti imitativi, sensazioni, gesti, emozioni e parole traggono il proprio senso condiviso dal comune principio nel corpo in azione. Quest’ultimo non solo rappresenta il perno caratteristico della performance musicale ma è anche il centro attorno al quale si costruisce una sintonizzazione intenzionale che contraddistingue la reciprocità specifica d’ogni pratica interindividuale inclusa l’esecuzione musicale.
Tutto questo è garantito dal corpo vivo e dai meccanismi nervosi condivisi quali i neuroni specchio che ne sottendono il funzionamento.
Numerosi studi che hanno utilizzato metodologie e tecniche sperimentali diverse, hanno dimostrato anche nella nostra specie l’esistenza di un meccanismo neurale che mappa direttamente l’osservazione delle azioni altrui sulla rappresentazione motoria delle stesse azioni nel cervello dell’osservatore. Anche l’essere umano è dotato di un sistema di neuroni specchio (SNS).
Tali meccanismi di rispecchiamento sono presenti nell’atto musicale in termini di simulazione, al momento dell’apprendimento di tecniche specifiche: ditegggiature, articolazioni, effetti timbrici, ecc, ma anche durante l’esecuzione di un brano chi ascolta è realmente parte attiva del processo sonoro che si compie nel momento.
Questo processo si attiva sia nella capacità di sintonizzarsi empaticamente al brano in esecuzione in termini emozionali, quanto di operare lo stesso processo dell’interprete che, con il proprio corpo, esprime un’idea che prende visibilità proprio nel suo farsi sonoro.
“I meccanismi di rispecchiamento qui descritti mappano le diverse relazioni intenzionali in modo neutro rispetto alla qualità specifica o all’identità dei parametri oggettivi/soggettivi. Attraverso uno stato fusionale condiviso realizzato in due corpi diversi che ubbidiscono alle stesse regole funzionali, ”l’altro oggettuale” diviene “un altro Sé”. (…)
L’osservazione del comportamento degli altri scatena a livello sub-personale l’attivazione di reti neurali di rispecchiamento, e quindi l’attivazione – a livello di descrizione funzionale – della simulazione incarnata.”3
Nel momento in cui cerchiamo di comprendere il comportamento altrui, il nostro encefalo ricrea modelli del comportamento dell’altro così come crea i modelli del nostro comportamento, consentendoci non solo di comprendere ma anche di predire, con una certa precisione, le conseguenze dell’agire altrui come del nostro stesso agire.
La simulazione incarnata è una simulazione congiunta al nostro modo d’essere e di mettersi in relazione con il mondo che ci permette di costruire un repertorio di certezze implicite sia su noi che sugli altri.
“La mia proposta è che tutti i possibili livelli d’interazione interpersonale, quale che sia il grado di complessità delle specificazioni relazionali che li definiscono, richiedono l’integrità dello stesso meccanismo funzionale di base: la simulazione incarnata.”4
“Il cervello, in maniera involontaria e preriflessiva, simula un evento o azione per poterlo controllare, inibire, compiere: l’osservazione di una persona in uno stato emotivo particolare attiva automaticamente una rappresentazione di quello stato nell’osservatore.”5
Parte prima
Studi neuroscientifici
I neuroni specchio
Intorno agli anni novanta è stata scoperta, dall’equipe del dipartimento di neuroscienze dell’Università di Parma diretto da Giacomo Rizzolati, una nuova classe di neuroni motori situati in un settore della corteccia premotoria ventrale del macaco, conosciuto come area F5. Tali neuroni hanno la peculiarità di scaricare non soltanto quando la scimmia esegue movimenti manuali diretti ad un fine, come afferrare oggetti, ma anche quando osserva altri individui(scimmie o esseri umani) che eseguono azioni simili.
Neuroni con proprietà simili furono scoperti in seguito in un settore della corteccia parietale posteriore, connessa con l’area F5. (fig. 1)
L’osservazione dell’azione determina in chi guarda, l’attivazione automatica dello stesso meccanismo neurale attivo durante l’esecuzione dell’azione.
Con questa scoperta, per la prima volta, è stato identificato un meccanismo neurale che consente un’associazione diretta fra la descrizione sensoriale (visiva e uditiva) di un atto motorio e la sua esecuzione concreta.
Gli studi dimostrano che attraverso questo sistema d’abbinamento diretto si costituisce la base neurale per una forma di comprensione immediata dell’azione.
“Si è dimostrato inoltre che i neuroni specchio del macaco rispondono anche durante l’osservazione d’azioni parzialmente nascoste. Ciò significa che il sistema risponde sulla base dell’anticipazione dello stato finale dell’atto motorio grazie all’attivazione di “rappresentazioni” motorie neurali nella corteccia premotoria dell’osservatore.
Altro dato riguarda i “neuroni specchio audiovisivi” che rispondono non solo quando la scimmia esegue e osserva un atto motorio ma anche quando sente il suono tipico prodotto dall’azione.”6
Tali sistemi neurali di rispecchiamento in specie non linguistiche possono far riflettere sulla natura di un meccanismo che dipende dall’esperienza con il mondo nell’interazione continua tanto da produrre una sorta di “concettualizzazione” incarnata realizzata grazie proprio all’esperienza con il mondo. (fig. 2)
Neuroni specchio nell’uomo
Molti studi, utilizzando metodologie e tecniche sperimentali tipo quelle di brain imagining, tomografia ad emissione di positroni (PET) e risonanza magnetica funzionale per immagini (MRI). Queste applicazioni permettono di visualizzare in tre dimensioni le variazioni di flusso sanguigno determinate nelle diverse regioni del cervello dall’esecuzione e dall’osservazione di specifici atti motori, e di misurarne così il rispettivo grado d’attivazione. (fig. 3)
Si è dimostrato così che anche nella nostra specie esiste un meccanismo neurale che mappa direttamente l’osservazione delle azioni altrui sulla rappresentazione motoria delle stesse azioni nel cervello dell’osservatore. Da questi stessi studi emerge che anche nell’uomo esiste un “sistema di neuroni specchio”(SNS).
Tale meccanismo di rispecchiamento è organizzato in modo somatotopico e quando osserviamo azioni svolte da altri con la mano, la bocca, o il piede si attivano regioni del nostro sistema motorio fronto-parietale corrispondenti a quelle che entrano in risonanza quando siamo noi stessi ad eseguire azioni simili a quelle che osserviamo. (fig. 4)
Ciò dimostra che noi vediamo sia con la parte visiva del cervello che con il sistema motorio. (fig. 5)
“I neuroni specchio mappano in modo costitutivo una relazione tra agente e un oggetto: la semplice osservazione di un oggetto che non sia obbiettivo di alcuna azione non evoca in essi alcuna risposta.” 7
Inoltre la scoperta dei neuroni canonici nell’uomo ha mostrato come osservando oggetti manipolabili, frutta, abiti, utensili, si verifichi l’attivazione della corteccia premotoria ventrale solitamente associata al controllo delle azioni. In pratica si verivica una simulazione motoria ipotizzando le possibili interazioni del soggetto con quegli oggetti. I neuroni canonici consentono una comprensione immediata delle opportunità di interazione che gli oggetti offrono ad un soggetto in osservazione.
Il sistema motorio
Da questi studi si evidenzia come il nostro sistema motorio riveste numerose funzioni oltre a molteplici strutture che autorizzano a non confinarlo esclusivamente al ruolo d’esecutore passivo d’ordini originati altrove.
Il sistema motorio non è isolato dalle altre funzioni cerebrali ma al contrario contribuisce a realizzare quelle trasformazioni sensomotorie da cui dipendono l’attivazione dei movimenti richiesti nei gesti quotidiani.
L’informazione sensoriale e motoria sono di fatto riconducibili ad un formato comune così come i processi d’ordine superiore di tipo cognitivo possono essere rimandati al sistema motorio ritrovando in esso il proprio sostrato neurale primario.
“Si pensi per esempio ad un allievo che immobile osserva il maestro eseguire al violino un passaggio complicato, sapendo che poi lo deve ripetere a sua volta. Per poter riprodurre i rapidi movimenti delle mani e delle dita del maestro, l’allievo deve formarsene un’immagine motoria. Ora, secondo Jeannerod, i neuroni responsabili della produzione di tali immagini motorie sarebbero gli stessi che sono destinati ad attivarsi durante la pianificazione e la preparazione da parte dell’allievo della propria esecuzione. (…)l’attivazione dei neuroni specchio genererebbe una “rappresentazione motoria interna” dell’atto osservato, dalla quale dipenderebbe la possibilità di apprendere via imitazione.
(…) Su un punto, però, riteniamo di dover dissentire da Jeannerod: sul fatto, cioè, che la funzione primaria dei neuroni specchio sia legata a comportamenti di carattere imitativo.
I neuroni specchio(…) sono alla base, prima ancora che dell’imitazione, del riconoscimento e della comprensione del significato degli “eventi motori” ossia degli atti, degli altri.”8 (fig. 6, 7)
Tutti i processi di controllo motorio richiedono un meccanismo d’anticipazione ed il SNS nell’uomo codifica sia il tipo d’atto sia la sequenza di movimenti che lo costituiscono attivandosi anche quando l’azione è solo mimata. Tale rispecchiamento permette di leggere il significato di movimenti finalizzati senza un atto concettuale all’origine ma facendo riferimento solo al nostro alfabeto d’atti che quotidianamente utilizziamo nell’agire. Nell’uomo questa comprensione avviene non solo per singoli atti ma anche per catene d’atti codificando il significato specifico secondo il contesto d’azioni in cui i singoli atti si troveranno inseriti. (fig 8)
Merleau-Ponty in merito afferma: ” Il senso dei gesti non è dato ma compreso, cioè riafferrato da un atto dello spettatore. Tutta la difficoltà consiste nel concepire opportunamente questo atto e nel non confonderlo con una operazione conoscitiva. La comunicazione o la comprensione dei gesti altrui, dei miei gesti e delle intenzioni leggibili nella condotta altrui. Tutto avviene come se l’intenzione dell’altro abitasse il mio corpo o come se le mie intenzioni abitassero il suo.(…)9
Il gesto è di fronte a me come un quesito, mi indica certi punti sensibili del mondo, ove mi invita a raggiungerlo. La comunicazione si compie quando la mia condotta trova in questo cammino il suo proprio cammino. Così, io confermo l’altro e l’altro conferma me.”
Dagli ultimi studi emerge chiaramente che l’atto di colui che osserva è un atto potenziale causato dall’attivazione dei neuroni specchio in grado di codificare l’informazione sensoriale in termini motori rendendo così possibile la reciprocità d’atti e intenzioni che costituisce il fondamento del riconoscimento immediato del significato dei gesti altrui.
“La comprensione delle intenzioni altrui non ha qui nulla di “teorico”, bensì poggia sull’automatica selezione di quelle strategie d’azione che in base al nostro patrimonio risultano di volta in volta più compatibili con lo scenario osservato.” 10
La selettività delle risposte attivata dai neuroni specchio fa sì che si venga a determinare uno spazio d’azione condiviso dentro il quale ogni catena d’atti, sia nostri che di altri, è subito compresa senza che questo implichi una volontaria operazione conoscitiva.
Le aree pre-motorie del SNS attive durante l’esecuzione e osservazione d’atti motori, sono coinvolte anche nella comprensione del “perché” dell’azione ovvero dell’intenzione che la sostiene.
”Le intenzioni delle azioni(…) sono incarnate nell’intenzionalità intrinseca all’azione, in quanto collegata ad uno stato finale, a uno scopo. Secondo il mio modello, in molte situazioni della vita quotidiana noi non ascriviamo intenzioni agli altri, semplicemente le rileviamo.
Quando assistiamo ai comportamenti altrui, grazie alla “simulazione incarnata”, il loro contenuto intenzionale può essere direttamente compreso senza la necessità di rappresentarlo esplicitamente in un formato proposizionale.” 11 (fig. 9)
La simulazione incarnata e l’esperienza tattile
Ma cosa s’intende per “simulazione incarnata”?
Secondo il neuroscienziato V.Gallese, la simulazione incarnata è il meccanismo sostenuto dai neuroni specchio che ci permette di riconoscere in quello che vedo qualcosa con cui “risuono”, di cui è possibile appropriarsi esperenzialmente e che si può fare proprio.
Rappresenta la capacità di comprendere il contenuto intenzionale di un’azione finalizzata ad uno scopo. In questo senso il significato delle esperienze altrui è compreso non grazie ad una spiegazione ma per via diretta dall’interno. La simulazione incarnata è di natura esperenziale, automatica permettendoci d’essere “in-contatto” nella comprensione e nel rispecchiamento delle azioni e sensazioni altrui. Così comprendere un comportamento significa crearne un modello analogo a quello che è alla base della comprensione e predizione dei nostri stessi comportamenti.
Questi modelli dell’interazione corpo/mondo implicano forme di simulazione motoria di natura pre-linguistica contrariamente all’immaginazione mentale dove il processo di simulazione è evocato da un atto di volontà.
“Perché vi sia imitazione è indispensabile un sistema di controllo sui neuroni specchio. E questo controllo deve essere duplice: facilitatorio e inibitorio. Deve facilitare il passaggi dall’azione potenziale, codificata dai neuroni specchio, all’esecuzione dell’atto motorio vero e proprio, qualora ciò sia utile all’osservatore; ma deve essere anche in grado di bloccare un simile passaggio. Diversamente, la vista di qualunque atto motorio dovrebbe immediatamente tradursi nella sua replica. Per nostra fortuna non è così.“ 12
Inoltre se le intenzioni delle azioni sono incarnate nella stessa intenzionalità specifica dell’azione in termine di condotta verso uno scopo, possiamo rilevarne la natura cosa che accade continuamente nella vita quotidiana.
Anche in musica possiamo parlare di condotte come suggerisce F. Delalande. “Una condotta è un insieme di comportamenti elementari coordinati, i cui aspetti motori, affettivi e cognitivi sono resi coerenti dalla finalità unica che li motiva. Ora in questo caso la finalità è di materializzare nel suono, quindi attraverso un gesto produttore, non soltanto un attacco vigoroso, ma il vigore stesso (o ogni altro “carattere espressivo”), che è una classe di condotte contemporaneamente motorie e affettive, e il mezzo per raggiungere questa finalità è farsene una rappresentazione mentale (è ‘aspetto cognitivo).
Certo è una simulazione, è il gioco del “fare finta” (…) è una simulazione di una condotta totale, di cui il gesto produttore non è che la proiezione sullo strumento.” 13
“Allo stesso modo in cui si è visto nascere del senso nella condotta dell’interprete, così pure è nella condotta di ricezione che potremo veder costituirsi e differenziarsi delle sensazioni e delle metaforizzazioni, che non sono che una componente della condotta dell’ascoltatore. Il senso non è una delle facce dell’oggetto, è una delle facce della condotta.” 14
L’ intero processo di simulazione incarnata ci permette inoltre di cogliere le intenzioni delle azioni altrui senza dover agire intenzionalmente.
“Attraverso la simulazione incarnata, il corpo proprio diviene l’origine della funzione costitutiva e genetica dell’intersoggettività.” 15
Da recenti studi è emerso che empatizzare con la sensazione tattile di un soggetto e sentire davvero sul proprio corpo la stessa sensazione si diversifica per una differente intensità dell’attivazione delle stesse aree cerebrali. Si evince perciò che l’attivazione di aree “tattili” avvenga alla percezione del tatto sia che ad essere toccato sia un corpo umano, un oggetto o il nostro corpo.
L’attivazione di queste stesse regioni corticali ci suggerisce che la nostra capacità di riconoscere e comprendere a livello esperenziale le esperienze tattili altrui, possa essere mediata grazie al meccanismo della simulazione incarnata.
Il tatto, sul piano sensoriale rappresenta la prossimità e l’assenza della distanza per eccellenza: soltanto in esso la percezione di sé e dell’altro si condizionano a vicenda rendendo vitale ogni percezione che si andrà manifestando.
In un trattamento Rességuier l’elemento visivo si tramuta in elemento tattile annullando così la distanza e permettendo una prossimità reale quanto libera tra i due soggetti della relazione.
Parte seconda
Empatia, arte e sintonizzazione
Elementi di Neuroestetica
I neuroscienziati cognitivi hanno costituito un campo d’indagine denominato neuroestetica e che si occupa di studiare possibili regole di percezione universale in grado di svelare quanti siano i piaceri estetici che rileviamo davanti ad un’opera d’arte analizzando le conoscenze psicofisiche e neurocognitive proprie della parte visiva del cervello.
L’iniziatore di queste nuove ricerche è Semir Zeki, docente di neurobiologia presso l’Università di Londra che ha lavorato per evidenziare come le diverse aree cerebrali reagiscano agli elementi dell’arte visiva postulando che la nostra esperienza dell’arte è strettamente collegata al funzionamento del cervello.
Tale ricerca è oggi ampliata da studiosi quali Gallese e Freedberg che propongono di concentrare l’attenzione sui fenomeni che si producono a livello corporeo durante la contemplazione delle opere visive. In particolare si tratta di osservare i meccanismi neuronali che assecondano il potere empatico delle immagini dimostrando che la simulazione incarnata ed i sentimenti empatici generati dalle immagini, svolgono un compito molto preciso in tale situazione.
Gli studi neuroscientifici degli ultimi anni hanno mostrato le “modalità con cui empatizziamo con gli altri evidenziando l’importanza dei modelli impliciti di comportamenti e delle esperienze altrui ovvero la simulazione incarnata.” 16
Come già visto la simulazione incarnata ci permette di percepire azioni, emozioni e sensazioni che vediamo attivando le stesse aree cerebrali come se vivessimo le stesse azioni osservate in prima persona. In tal senso questi studi intendono mettere a fuoco l’immedesimazione, da parte dell’osservatore, nella gestualità specifica della produzione di un’opera d’arte: una sorta d’imitazione fisica ed interiore delle azioni compiute da altri che si osservano in pitture e sculture. Tutto questo accade non soltanto osservando parti del corpo ferite o trafitte, ma anche osservando opere come quelle di Pollock o Fontana dove la sensazione di coinvolgimento corporeo si allinea con le tracce fisiche dei segni o del gesto che ha prodotto il taglio sulla tela.
Attraverso la scoperta dei “neuroni canonici” si è potuto dimostrare che l’osservazione d’oggetti manipolabili, come strumenti, frutta, vestiti stimola l’attivazione della corteccia premotoria ventrale normalmente associata al controllo dell’azione e non della rappresentazione. Così anche “una natura morta può essere “animata” dalla simulazione incarnata che evoca nel cervello dell’osservatore”. 17
Allo stesso modo la simulazione incarnata ed il sistema senso-motorio sono coinvolti nel riconoscimento delle emozioni e sensazioni espresse dagli altri perché permettono la ricostruzione di cosa proveremmo in una particolare emozione mediante la simulazione dello stesso stato corporeo.
Il neurofisiologo A. R. Damasio ha dimostrato come le sensazioni emotive siano collegate alle mappe neuronali dello stato fisico corrispondente attivando il circuito del “come se” e in altreparole simulando come se il corpo dell’osservatore fosse realmente coinvolto in prima persona.
“Quando vediamo una parte del corpo di qualcuno carezzata o toccata,oppure due oggetti che si sfiorano, le nostre cortecce somatosensoriali vengono attivate come se il nostro corpo fosse sottoposto a stimolazione tattile” 18
“Ipotizziamo che persino i gesti dell’artista, nella produzione dell’opera d’arte, inducono il coinvolgimento empatico dell’osservatore, attivando la simulazione del programma motorio che corrisponde al gesto evocato nel segno artistico.”19
La proposta in studio vede la teoria delle relazioni empatiche, relativamente alle opere d’arte, non solo introspettiva, intuitiva ma dotata di una base materiale individuabile nel cervello unitamente ad una consapevole e non, abilità dell’artista ad evocare una reazione empatica che influenzerà la reazione estetica di chi osserva. (fig. 10,11 e 12)
Empatia, emotività e neuroni specchio
Da una serie di studi e rilevazioni di risonanza magnetica per immagini (FMR), in grado di visualizzare in tre dimensioni le variazioni di flusso sanguigno nelle aree cerebrali sia eseguendo azioni che osservando esecuzioni, gli esperimenti di Tanya Singer hanno dimostrato che non solo la percezione diretta della sofferenza, ma anche come la sua evocazione sia mediata da un meccanismo specchio.
L’esperimento realizzato dal gruppo di Neuroscienze dell’University College di Londra, diretto da Tanya Singer, aveva lo scopo di valutare se ci fossero delle aree del cervello stimolate nella percezione del dolore altrui sovrapponibili a quelle che si attivano quando è la persona stessa che prova dolore.
I soggetti, sottoposti alla risonanza magnetica funzionale (FMR) ricevevano un leggero shock elettrico doloroso tramite elettrodi posti sulla mano. In una successiva fase gli stessi soggetti vedevano la mano di un loro caro con gli stessi elettrodi attaccati sopra. Agli sperimentanti veniva detto che i loro cari avrebbero ricevuto lo stesso stimolo doloroso provato dagli stessi in precedenza. In entrambe le situazioni sperimentali si è verificato l’attivazione dei settori dell’insula anteriore e della corteccia del cingolo.
Questo dato mostra che la percezione diretta della sofferenza così come la sua evocazione sono entrambe mediate da un meccanismo specchio.
Infatti, quando assistiamo al dolore di un’altra persona siamo coinvolti dal punto di vista psicobiologico in meccanismi sovrapponibili e che l’assenza dello stimolo fisico differenzia solo la risposta legata ai recettori sensoriali.
“(…) io non sto soffrendo lo stesso dolore dell’altro, sto piuttosto rendendomi conto del suo dolore in modo non cerebrale ma con l’intensità del mio sentire che mi porta a riconoscere la sua emozione e insieme a riconoscerlo come persona.” 20
“Capire il dolore dell’altro non richiede una riproduzione sulla propria pelle ma la rappresentazione della rilevanza soggettiva dello stimolo così come si riflette nella spiacevolezza soggettiva sentita dall’altro.” 21
La valutazione della risposta emozionale ha mostrato che esiste un rapporto diretto tra l’intensità del legame affettivo e la risposta cerebrale.
Si tratta di una scoperta importante perchè lascia intendere che la nostra capacità di comprendere l’altro si fondi su una sorta di mimetismo cerebrale.
Pertanto è come una sorta di predisposizione biologica alla relazione e alla socialità. Siamo in relazione profonda con l’altro al punto da mimarne l’esperienza, comprenderla empaticamente fin dai neuroni.
Anche i neonati, imitano spontaneamente sin dalle prime ore di vita, espressioni emotive espresse dalla madre così come le madri tendono a sincronizzare i gesti maggiormente con i propri bambini che non con altri bambini.
La simulazione
Secondo il neurofisiologo V. Gallese, nell’esperienza quotidiana siamo perfettamente in grado di decodificare la qualità delle sensazioni ed emozioni altrui senza fare ricorso ad espliciti sforzi cognitivi. Anche in questo caso si può ipotizzare un meccanismo funzionale di base, la simulazione.
Nel contesto delle ricerche di Gallese, il termine di simulazione è utilizzato nel suo significato di modellizzazione d’eventi o circostanze, volta ad una loro comprensione dall’interno. Il processo di simulazione, che è automatico, inconscio e preriflessivo, consente di produrre delle conseguenze simulate che divengono reali anticipazioni.
Secondo Gallese tale meccanismo costituisce la principale strategia epistemica disponibile per organismi viventi come noi, che derivano la propria conoscenza del mondo in virtù delle interazioni con esso intraprese.
Ciò che definiamo rappresentazione della realtà, non è una spia dell’oggettivamente dato, ma un modello interattivo di ciò che il soggetto vive e di come lo vive.
Il processo di simulazione consente di predire eventi sensoriali futuri (lo dimostrano dati neuroscientifici sui neuroni visivi del lobo parietale), così come le conseguenze d’ogni azione intrapresa.
La simulazione è presente nell’immaginazione mentale, nella comprensione delle azioni altrui, nell’imitazione e naturalmente nell’empatia.
Empatia: studi neuroscientifici
L’empatia ricopre un ruolo fondamentale nelle nostre vite sociali perché ci permette di condividere emozioni, esperienze che ci avvicinano agli altri in termini di simulazione come un’imitazione interiore degli stati dell’altro.
Grazie a studi neuroscientifici si è potuto accertare che solo dopo aver sentito internamente, le emozioni esperite da un’altra persona, saremo in grado di riconoscerle esplicitamente.
“Questo è quanto io credo succeda: i neuroni specchio producono una simulazione irriflessiva, automatica (o “imitazione interna”, come a volte l’ho definita) delle espressioni facciali altrui, e questo processo di simulazione non richiede un riconoscimento esplicito, intenzionale dell’espressione imitata. Simultaneamente i neuroni specchio inviano dei segnali ai centri emozionali situati nel sistema libico del cervello. L’attività neurale qui innescata da questi segnali provenienti dai neuroni specchio ci consente di provare le emozioni associate alle espressioni facciali osservate: la felicità associata ad un sorriso, la tristezza associata ad un corrugamento della fronte.” 22 (fig. 13)
“La probabilità quindi, che esista un collegamento tra i sistemi neurali dell’imitazione (i neuroni specchio) e i sistemi neurali delle emozioni (il sistema limbico) è molto alta.”23
Dagli studi compiuti emerge che le aree dei neuroni specchio, le aree emozionali che si trovano nel sistema limbico e l’amigdala si attivano all’osservazione di volti aumentando la loro reattività se i soggetti imitavano le diverse espressioni che vedevano. Questo processo fa produrre al nostro cervello una totale simulazione che comprende non solo la capacità di provare noi stessi ciò che altri davanti a noi provano ma anche di includere la componente motoria delle esperienze dolorose osservate in altre persone.
“Sembrerebbe che il nostro cervello sia congegnato per rispecchiare, e che soltanto attraverso il rispecchiamento, cioè attraverso la simulazione nel proprio cervello delle esperienze provate dalla mente di altri, noi comprendiamo a fondo ciò che provano le altre persone.” 24
Le ricerche più recenti suggeriscono inoltre che le stesse strutture nervose attive durante l’esperienza soggettiva di sensazioni ed emozioni siano attive anche quando cerchiamo di decodificare negli altri quelle stesse emozioni e sensazioni tanto che una volta persa la capacità di esprimere una data emozione, risulta impossibile rappresentarla e risconoscerla quando espressa da altri.
L’empatia, come già detto, è la capacità di stabilire un legame affettivo interpersonale dotato di significato. Non si tratta semplicemente di comprendere quando qualcuno sia triste, felice ecc., ma anche di comprendere implicitamente le sensazioni esperite dall’altro.
La psicologia dell’età evolutiva (Stern, 1985) definisce consonanza affettiva un tipo particolare di equivalenza transmodale delle esperienze affettive interpersonali. Queste espressioni affettive (movimenti corporei, espressioni facciali, vocalizzazioni ecc.) possono differire nella forma e nell’intensità, ma sempre condividendo la stessa dimensione di risonanza emotiva.
L’empatia sarebbe allora una forma di imitazione interiore.
In questo senso la persona empatica non solo comprende, ma anche condivide e partecipa allo stato emotivo dell’altro. Provare empatia non significa sperimentare esattamente quello che l’altro vive, ma comprendere e condividere in modo vicario l’emozione che lui prova. Tale atto può tradursi in un vissuto genericamente più consono allo stato d’animo dell’altro che al proprio.
Il processo d’empatia si esplicita nello sviluppo progressivo della capacità di differenziare il sé dall’altro fornendo risposte comportamentali ed emotive alla specifica domanda dell’altro. In altre parole si tratta di leggere il bisogno che l’altro esprime e rispondervi in modo adeguato.
L’incontro dei corpi
Provare empatia per qualcuno vuol dire comprendere le emozioni che sta vivendo e viverle a propria volta, interiorizzando le sue ragioni e le sue intenzioni: vuol dire creare nel proprio mondo interiore uno spazio su misura per accogliere il mondo dell’altro.
Sentire che qualcuno prova empatia per noi, vuol dire sentirsi capiti, accolti non più soli.
Provare empatia è “mettersi nei panni dell’altro” e condividerne lo stato emotivo provando un’emozione uguale o simile a quella dell’altro.
“In sostanza la nostra capacità di empatizzare dipende dal sistema del “sentirsi corporeo” (omeostasi e stati interni corporei) e dallo sviluppo del sé come entità affettiva.” 25
L’empatia, come esperienza complessa, si manifesta in modo consapevole nel momento in cui siamo di fronte ad una consapevolezza affettiva e cognitiva di sé che permette una reale distinzione fra sé e l’altro inteso come entità fisica, come un corpo. Questa concretezza fisica attiva un’intenzionalità verso ciò che sta fuori dell’io permettendo così un’intenzionalità nell’agire che si fa sapiente proprio grazie alla prossimità reale dell’incontro.
“L’emozione dell’incontro è questo: lo sconvolgimento, lo stupore,la sorpresa derivanti dal nascere di una ricerca destata dall’apparizione dell’altro.” 26
“Vivere l’emozione dell’incontro vuol dire scoprirsi d’un colpo dentro la relazione.”27 “L’apertura, quando c’è(…), ha una sua pesantezza è faticosa,impegnativa com’è a parare il colpo dell’esistenza dell’altro.”28
“L’immagine più veritiera dell’incontro non è infatti quella di un trasporto,di una pulsione che spinge verso l’altro. Più verosimile è che innanzitutto ci siano due guerrieri che, per quanto inavvertitamente, si scrutano. Ciascuno ha la sua posizione ed è giusto che la mantenga, ma lo stare di fronte non è neutro, né privo di avvenimenti. Gli fa infatti da contro altare l’ingombro del sé, che, con i suoi spasmi, le sue cecità, fa resistenza a lasciarsi segnare dall’incontro, troppo occupato com’è con il caos dei propri sentimenti e stati d’animo, schiacciato dai suoi propri avvenimenti interni e desideroso di preservare indisturbato un’immagine consolidata, costruita chissà come, ma in fondo rassicurante.”29
Nell’incontro fisico con l’altro ricevo la consapevolezza del mio stesso corpo grazie al riconoscere l’altro come un corpo vivo e fisico. Proprio dall’incontro di questi due corpi nasce un’esperienza che trasforma il sentire corporeo di ciascuno.
L’empatia mi permette un accesso all’altro in quanto contatto sensibile. La persona è visibile nella sua interezza ed io lo sono per l’altro in questo modo si crea una risonanza reciproca fatta di sensazioni corporee ed emozionali che saldano le due persone in un viaggio in divenire tra il qui e l’ ora.
“Quando il nostro interesse per l’altro prende la forma dell’attenzione alle emozioni che il suo volto, le sue mani, i suoi gesti “esprimono”, incarnano,ci sembra di aver raggiunto una solida presa sulla profondità della persona. (…)
Per sentire l’altro è necessario un atto di empatia, ossia una forma specifica di elaborazione dell’esistenza dell’altro e di messa in rapporto della sua differenza(di tutto quanto appartiene a lui solo e lo caratterizza) con la nostra esperienza.” 30
Successivamente al momento dell’incontro il processo d’empatia si caratterizza nell’immaginare e comprendere.
Dopo l’emozione dell’incontro nasce il bisogno di ristrutturare la propria identità modificata dallo scambio d’esperienza tra i due soggetti.
Entrare in risonanza con il sentire altrui permette la scoperta dell’essere in relazione rivelandoci l’esistenza dell’altra persona e del suo sentire. Questa dinamica tra me e l’altro “ripropone il movimento dello slancio in avanti e fuori tipico dell’empatia”. 31
“nell’empatia, guardata con attenzione, la posizione dell’io e dell’altro non è mai fissa, domina piuttosto un movimento verso il dentro e verso il fuori, di avvicinamento e di allontanamento. Non dimentichiamo che questo movimento è la relazione.”32
“Si tratta di un esperimento di sé nell’alterità, in cui vengono saggiate nuove possibilità di essere a contatto con l’altro.” 33
L’ incontro con l’altro coinvolge tutto il nostro corpo creando di fatto uno stato di “risonanza corporea in cui realtà esterna (l’altro) e realtà interna (l’ingombro dell’io) vengono a patti, trovano una misura reciproca.” 34
L’ultimo passaggio è la trasformazione di sé che avviene entrando in contatto con ciò che si manifesta dell’altro in quel momento e che traspare dal suo viso, gesti,postura e che attiva in me un’immaginazione capace di tradurre e trasferire la sua esperienza su un piano di comprensione dove la mia esperienza scambia qualcosa con la sua.
“La trasformazione di sé prodotta dall’empatia porta a guardare il soggetto sotto il profilo non più di una (presunta) compattezza e autosufficenza, bensì della ricettività e della disponibilità ad accogliere quanto esiste e accade fuori di sé.” 35
“L’atto dunque che ci mette in contatto con l’altro, riconosciuto nella sua qualità di esperienza originaria e quotidiana, guida e regola ogni tipo di attività nel senso di un compimento specifico, quello di essere recepita e compresa.”36
Circuito del “come se”
Il circuito del “come se” è stato proposto da A. R. Damasio e rappresenta un meccanismo attraverso il quale si attiva una simulazione interna a livello cerebrale che si concretizza in una rapida modificazione delle mappe proprie dello stato attuale del corpo. I dati che possiamo registrare sono identici a quelli che si evidenziano nel momento in cui il corpo subisce un cambiamento.”
“Il meccanismo del circuito “come se” scavalca il corpo, in parte o del tutto, e io ho suggerito che aggirare il corpo fa risparmiare tempo ed energia, il che può essere d’aiuto in certe circostanze. I meccanismi “come se” sono importanti non solo per l’emozione e il sentimento, ma anche per una classe di processi cognitivi che si potrebbe designare come “simulazione interna.“37
“Il risultato della simulazione diretta degli stati corporei nelle regioni somatosensitive non è diverso da quello della filtrazione di segnali provenienti dal corpo. In entrambi i casi,temporaneamente, il cervello crea una serie di mappe del corpo che non corrispondono esattamente allo stato reale in cui esso si trova. Il cervello usa i segnali afferenti dalla periferia come creta per scolpire un particolare stato del corpo (…) nelle regioni somatosensitive. Quello che si sente è basato su quella “falsa” costruzione, e non sul “reale” stato del corpo.”38
Secondo questa tesi il nostro cervello apprende sia dalle risposte del corpo agli stimoli esterni che dalla stessa capacità di simulare internamente reazioni emotive grazie al bagaglio, in possesso del soggetto, di marcatori somatici, cioè esperienze emozionali vissute che agiscono da guida per le decisioni contingenti.
Nel momento in cui viviamo un’emozione non solo l’avvertiamo sul piano fisiologico ma , nel momento in cui la osserviamo su un’altra persona, siamo in grado di attivare il circuito “come se” che ci permetterà di vivere uno stato attivo “come se” il nostro corpo ricevesse gli stessi segnali conformi all’emozione osservata.
“L’insula è il centro di questo meccanismo specchio in quanto non solo è la regione corticale in cui sono rappresentati gli stati interni del corpo, ma costituisce un centro di integrazione viscero-motoria la cui attivazione provoca la trasformazione degli input sensoriali in reazioni viscerali.”39 (fig. 14)
Le nostre percezioni degli altri e delle loro reazioni emotive sono accomunate da un meccanismo specchio che consente al nostro cervello di riconoscere immediatamente quanto vediamo, sentiamo o immaginiamo fare da altri. Tutto ciò è possibile perché s’innescano le stesse strutture neurali motorie o viscero-motorie responsabili delle nostre azioni quanto delle nostre emozioni.
“Il meccanismo che si presume produca questa sorta di sentimento è una varietà di quello che ho chiamato circuito corporeo “come se”. Esso implica,a livello cerebrale,una simulazione interna che consiste nella rapida modificazione delle mappe dello stato corrente del corpo. Ciò accade quando certe regioni cerebrali, per esempio le cortecce prefrontali/premotrici segnalano direttamente alle regioni somatosensoriali del cervello. L’esistenza e la localizzazione di tipi analoghi di neuroni è stata stabilita di recente. Quei neuroni possono rappresentare, nel cervello di una persona, i movimenti che quello stesso cervello vede in un altro individuo, e inviare segnali alle strutture sensomotorie in modo che i movimenti corrispondenti siano “visti in anteprima” in una modalità di simulazione, oppure effettivamente eseguiti”.40
A. R. Damasio nei suoi studi sollecita una riflessione intorno alla nostra capacità di reagire sul piano emotivo e intuitivo come un sapere che non necessita di operazioni cognitive, ma che è in grado di valutare e interpretare le diverse situazioni agendo conseguentemente e favorevolmente rispetto a sé.
L’ agire si esplicita così nell’immediato presente quanto nella capacità di anticipazione che si realizza nel “mettersi nei panni dell’altro”e quindi nel sentire fisicamente le risposte che il mio corpo avrebbe provato in determinate situazioni.
Questa prospettiva delle neuroscienze lega a doppio filo emozioni e ragione riconoscendo alle emozioni la capacità di contribuire alla costruzione del nostro sé a livello cerebrale.
Il rapporto con il mondo che ci fa sentire coinvolti, interessati e preoccupati riguardo alle situazioni così come alle persone, è fondamentale per il nostro agire vitale in costante coincidenza con noi stessi e con gli altri in tutti i momenti della nostra vita. (fig. 15)
Molteplicità condivisa e sintonizzazione intenzionale
La capacità di concepire gli altri come sé/ come noi dipende dall’esperienza delle nostre relazioni interpersonali che delineano uno spazio comune ed efficace.
V. Gallese afferma che tale “molteplicità condivisa” può essere caratterizzata a livello funzionale come simulazione incarnata grazie alla quale il cervello-corpo modella le sue interazioni con il mondo.
“Secondo il mio modello, quando noi assistiamo al comportamento intenzionale degli altri, la simulazione incarnata genera uno specifico stato fenomenico di “sintonizzazione intenzionale”. Questo stato fenomenico, a sua volta, genera una qualità peculiare d’identificazione con gli altri individui.(…)Assieme alla descrizione sensibile degli stimoli sociali osservati, si attivano nell’osservatore i correlati neurali degli stati del corpo associati a queste azioni, emozioni e sensazioni. (…) recenti studi suggeriscono che alcuni di questi meccanismi potrebbero essere alterati negli individui affetti dalla sindrome dello spettro autistico.” 41
Il nostro Sé si sviluppa grazie alla interelazione con gli altri nella capacità che ciascuno di noi ha di rispecchiare ed essere rispecchiato nella prassi altrui come esseri che ubbidiscono alle stesse regole funzionali.
Da questa osservazione del comportamento altrui si attivano reti neurali di rispecchiamento e con loro la simulazione incarnata.
“La sintonizzazione intenzionale, generata dai processi di simulazione incarnata, è consustanziale al rapporto di reciprocità dinamica che sempre s’instaura tra il polo soggettivo e quello oggettivo della relazione interpersonale.”42
Tutte queste riflessioni intorno alla dimensione neurale dell’intersoggettività aprono nuove prospettive sulla natura del rispecchiamento fra interprete e pubblico.
Attraverso la simulazione incarnata, intesa come meccanismo funzionale unico, si può guardare alla performance musicale da una prospettiva naturale ed universalmente condivisa tra individui della stessa specie.
“L’oggetto artistico – che non è mai oggetto in se stesso, ma polo di una relazione intersoggettiva, quindi sociale – e-moziona in quanto evoca risonanze di natura sensori-motoria e affettiva in colui che si mette in relazione.”43
Intorno al pensiero di Helmuth Plessner
Antropologia dei sensi
“Un’ estesiologia dello spirito, o un’antropologia dei sensi – in via preliminare entrambe le denominazioni intendono il medesimo – propone di pensare l’unità dei sensi (…)nel suo taglio specificatamente umano. L’uomo infatti non s’acquieta nel puro fatto della sua organizzazione sensibile, vi vede qualcosa, un senso, e se non lo trova gliene dà uno, ne fa qualcosa.” 44
“Unità implica molteplicità” Un organismo si presenta come un’unità architettonica, e ciò è attestato tanto dal piano costruttivo anatomico, dal sistema delle funzioni, quanto dal comportamento rispetto all’ambiente. Piano anatomico, piano funzionale e ambiente si adattano reciprocamente, costituiscono la cornice nella quale gli organi di senso s’inseriscono.”45
“In questo senso la dimensione sensoriale e motoria si accordano a vicenda.
L’uomo, invero, emerge dal mondo animale grazie alla sua capacità di oggettivazione(…).
Viviamo percettivamente con i nostri sensi, ascoltando, assaporando, annusando: orientati ad altro e da esso assorbiti. La riflessione interrompe questo flusso, ci fa scoprire la loro natura strumentale e, insieme, la dimensione qualitativa(…).
All’uomo è dato non solo di percepire ma anche di “avere” percezioni, di distaccarle da sé(…)”.46
“Se manca l’oggettivazione manca anche il suo opposto, il volgersi verso l’interno.” 47
Studi di estesiologia l’uomo, i sensi, il suono
La musica, come l’arte in generale, rappresenta la possibilità di verificare la tenuta, l’autenticità, delle qualità oggettuali dell’esperienza su un piano precategoriale, prelogico, precedente a qualunque elaborazione concettuale. “Ciò spiga l’esigenza plessneriana di muoversi in uno spazio linguisticamente muto,nondimeno espressivo come quello dell’arte, ma anche del riso e del pianto, nel quale la configurazione del senso avviene mediante un atteggiamento plastico del corpo intero.”48
La musica è arte del movimento nel senso che si esplicita nel movimento della successione dei suoni, nella direzione di senso del rapporto tra suoni muovendosi in avanti e indietro, tra esterno e interno, nella progressione tra antecedente e susseguente, nella tensione che si svolge nel presente tra ritenzione del passato e pretensione e anticipazione del futuro.
Il tempo diventa l’elemento strutturale del movimento come processo in grado di costruire un’attesa che deve risolversi .
“i suoni sono forme temporalizzate”… che vanno e vengono nel tempo in base a un’intrinseca coazione alla successione che fornisce loro direzionalità e ordine di corso.”49
“l’uomo non soltanto può sentire i suoni, ma “ appartiene agli esseri che producono suoni vocali.”50
(…) Il suono ha la peculiare capacità di penetrare dentro di noi e di rimuovere la distanza tra esterno e interno, senza che lo si possa impedire. Infatti l’orecchio è sempre aperto alle percezioni acustiche, non lo si può chiudere come si chiudono gli occhi(…): non si può interrompere l’atto del sentire si può solo smettere di acoltare.51
Una delle peculiarità del suono è quella di essere intrinsecamente corporeo infatti la produzione della voce coinvolge l’apparato respiratorio, dall’addome fino alla testa:il corpo può dar sfogo e riempire all’esterno una tensione interna in tal senso il collegamento tra esterno e interno che si realizza nella voce è insieme un momento produttivo e comunicativo.
“Il mito dell’urlo come origine del linguaggio è noto. (…)L’esternazione dell’urlo e la sua eco, il sentire cioè l’urlo come un prodotto proprio del corpo e insieme come qualcosa che non appartiene più a esso dilegua lo stato di isolamento dell’individuo rispetto al mondo esterno.”52
Nell’urlo l’uomo fa esperienza dell’unità acustico-motoria percepito come un unico processo chiuso in sé dove il suono ritorna all’orecchio ascoltando la nostra stessa voce.
“Il fenomeno acustico fondamentale è la duplicità recettivo-produttiva, il nostro produrre e recepire suoni.” (…)“Producendo suoni, siamo suono.”53
“La musica non è né proposizione né pittura,ma è un accadere che invita a una ”consonante” partecipazione, interpretabile e comprensibile appunto perché possiamo “accordarci” con il decorso sonoro, possiamo figurarlo con il corpo e con i gesti”.54
“La musica non conosce il significare qualcosa, perciò può essere compresa solo nella misura in cui viene fatta: consta di un unico strato e ciò, (…) le consente una mediazione diretta tra azione esecutiva e contenuto tale da sottrarre quest’ultimo a ogni altra esplicazione.” 55
”La sfera acustica è libera (…), la musica è pura perché rende noto il suo senso in modo ancora presimbolico, in e con la materia sonora, in e con le sensazioni sensoriali” 56
“Il sistema della reagibilità o dei modi della sensorialità si spiega dunque attraverso il sistema della mobilità. I modi in cui un organismo afferra l’ambiente corrispondono ai modi in cui esso lo elabora: mangiando-digerendo, cacciando e fuggendo, saltando e strisciando, volando e nuotando. Non vi è alcun sentire senza movimento, alcun modo di sentire senza il modo di muoversi di un organo, di un gruppo di organi o dell’intero corpo vivente, con cui comprendere l’organismo.(…)
Infatti un organismo gioca il suo ruolo nell’ambente sempre come intero.”57
L’eccentricità dell’uomo
Per comprendere l’uomo, secondo Plessner, è necessario allargare lo sguardo all’area antropologica dove l’uomo diventa soggetto di studio in relazione all’ambiente che lo circonda. In virtù della sua posizione di eccentricità l’uomo è infatti capace di rapportarsi sia alla sfera della corporeità che a quella dell’interiorità, sia al mondo interno che a quello esterno.
L’uomo “è” se stesso e “ha” se stesso. Per l’uomo trovarsi in una posizione eccentrica vuol dire decentrarsi, perdere la propria centralità nei confronti delle cose e persone fino a diventare cosa tra le persone del mondo. Solo distanziandosi da sé “ ponendosi alle proprie spalle” l’uomo può vedere se stesso e la propria posizione nel mondo quel centro provvisorio che occupa da cui poi, in quanto essere eccentrico, si decentra.
L’uomo in quanto eccentricità non coincide con il corpo che è, che vive dentro e fuori di esso, prendendo posizione non solo nei confronti di un ambiente esterno, ma anche rispetto a sé, al proprio stesso corpo. L’ uomo vive lo sdoppiamento essere-corpo e avere-corpo, sdoppiamento tra il corpo vivente, cioè vissuto, sentito e rappresentato da “dentro”, e il corpo “esterno” che mi ospita e talora mi diventa d’intralcio, per esempio quando cado o mi ammalo. L’eccentricità è assenza di centro, o averne infiniti. “Io sono ma non mi possiedo”, non coincido con me stesso, vivo con me stesso davanti.
Interiorità, coscienza, mente sono in primo luogo il nome di una distanza e non coincidenza con un centro, con il proprio sé.
Dato che sono il mio corpo, tutto ciò che distanzia con esso si riverbera su tutto, pensieri ed interiorità tanto che le due aree,l’ interno e l’ esterno,il sentire e il valutare come “astrazione ed empatia” si generano insieme.
L’”Io “ è il punto di contatto e di divergenza, contemporaneamente. Perciò avverto me stesso , il mio corpo le mie sensazioni, i miei pensieri come esterni, dati a me come cose che mi avvengono. Si apre un “tra” in mezzo a me e in mezzo al mio mondo come un’intima estraneità. Perciò lo sdoppiamento eccentrico va tenuto unito, in equilibrio contro il rischio della frattura, della separazione schizzofrenica.
Questa tensione con se stessi è la matrice dell’azione e dell’oggettivazione le quali sono effetto dell’eccentricità che deve ri-centrarsi ogni volta in qualcosa che funzioni da contrappeso e bilanciamento per il nostro precario equilibrio anche senso-motorio. Così nascono quegli ambienti circoscritti che sono le culture grazie alle quali l’uomo si relaziona con ciò che sta oltre la linea, l’altro da se.
(…)nascere uomo è imparare a stare nel proprio corpo, a diventare ciò che si è in un gioco di prossimità e distanza(…) per cui ciascuno può afferrare se stesso diventando qualcuno, proiettandosi in qualcosa solo passando attraverso altri individui, altri corpi altri oggetti. 58
Incorporarsi in questo senso diventa un gioco tra essere e avere un corpo nel senso di diventare persona, impersonarsi nei tanti ruoli che svolgiamo quotidianamente.
Posto al centro della propria esistenza, l’uomo sperimenta la centricità che lo caratterizza ma, al contempo, si pone fuori da essa, proiettandosi oltre se stesso. Per l’uomo essere un corpo, in senso somato-psichico e al contempo di avere un corpo, in senso materiale, determina una frattura intesa come centro della continua mediazione tra interno e esterno: l’uomo deve trovare una sua sia pur paradossale unità.
Spazi senza parola: il riso e il pianto
Per conoscere la vera natura dell’uomo è necessario, secondo Plessner, fondatore dell’antropologia filosofica tedesca, approfondire alcuni comportamenti espressivi come il gesto, il linguaggio, il riso e il pianto.
La corporeità e le sue dimostrazioni costituiscono un’imprescindibile fonte di conoscenza dell’uomo proprio perché non si separa l’uomo dal suo corpo anzi diventa un’unità psico-fisica concreta.
L’osservazione di questi comportamenti espressivi ci mostra come la componente esteriore ed il corrispondente stato interiore si mostrano rivelando la chiarezza che appartiene alla sua natura specifica.
Scoppiare a ridere o a piangere sono espressioni che denotano una frattura, una scissione all’interno dell’equilibrio psicofisico dell’uomo, quindi egli perde il controllo su di sè e non è più in grado di esprimersi come d’abitudine, di affrontare con le normali procedure l’ondata emotiva che lo colpisce: in un colpo la sua capacità di controllo viene meno.
“ L’uomo può ridere e piangere- qui si mostra la loro affinità in quanto appartenenti un determinato genus di modalità espressiva umana- solo se si consegna ad essi. Si abbandona al riso, si lascia andare al pianto.59
Ogni volta che l’uomo perde il controllo e non è più in grado di mantenere l’unità tra l’essere un corpo e l’avere un corpo “si ha una disorganizzazione, vale a dire i due aspetti si separano restando non mediati, e il corpo si emancipa come strumento e cassa di risonanza della persona” 60
In queste situazioni, anche quando tutto sembra perduto, l’uomo, dice Plessner, “rimane persona” mostrandosi capace di far fronte alla situazione anche in situazioni limite come il riso e il pianto.
“Nel ridere e nel piangere l’essere umano vive l’impossibilità di replicare, di trovare una risposta adeguata a una situazione che lo mette in crisi; a questo punto è il corpo a prendere l’iniziativa e a reagire per quanto gli è possibile. Ma questo può accadere solo a un essere che vive nella duplicità dell’immediatezza mediata, dell’essere e dell’avere un corpo. Solo chi assume una posizione di eccentricità può al contempo prendere le distanze o decidere di annullarle. Solo chi è in grado di ridere o di piangere dimostra di poter prendere una doppia distanza da sé e dal mondo, ed è solo l’uomo che ha questa capacità di essere e avere un corpo, di esistere e di vedersi come un esistente.”61
Parte terza
Esperienze operative
Il Metodo Ressèguier applicato nella performance musicale
La performance musicale-strumentale ha costituito l’argomento di questa breve indagine dove si è voluto evidenziare l’influenza delle componenti emotive coinvolte nell’esecuzione davanti ad un pubblico.
La performance musicale pubblica rappresenta, comunemente, per l’interprete, un momento di tensione, emozione e a volte addirittura paura.
L’esecuzione avviene in un momento per sua natura irripetibile ed unico dove non sempre si realizza una corrispondenza funzionale tra le ore di studio svolte e la resa dinanzi ad un pubblico.
Le variabili che intervengono sono molteplici: dalla capacità reattiva dell’interprete in situazione di stress, al luogo, al tipo di pubblico, ecc.
“Provando a schematizzare i fattori che intervengono parallelamente in un concerto, si potrebbero individuare cinque categorie principali (fig. 16): componenti legate al brano da eseguire, allo strumento utilizzato, alle condizioni dell’esecutore, all’ambiente e all’insieme di persone che forma il pubblico.62
In particolare nella nostra ricerca il luogo, l’Auditorium del Conservatorio Statale di Musica di Cagliari è rimasto invariato così come la tipologia di pubblico trattandosi di saggi di classe.
In questo studio l’attenzione si è concentrata sul livello d’emozione vissuta dal singolo in una situazione d’esecuzione pubblica, come variabile in grado d’influenzare notevolmente la qualità della performance pubblica.
Al di là delle strategie specifiche che ciascuno di noi mette in atto per risolvere il problema su come affrontare il pubblico ( riscaldarsi prima d’iniziare, controllare l’accordatura, pensare alle prime battute da eseguire, ecc), tutti operano un aggiustamento fisico-posturale nel momento: con e sul proprio strumento. Questo è ciò che in genere accade pochi istanti prima d’iniziare a suonare: si attua un vero e proprio riaggiustamento di pesi, di postura, d’equilibrio tanto da permettere una presa ottimale e sinergica con il proprio strumento.
Certamente andare ad un concerto significa non solo ascoltare musica ma anche assistere ad uno spettacolo creato dall’interprete. In questo senso anche il pubblico in sala è coinvolto dalla performance sia sul piano emozionale che sul piano senso-motorio. I gesti dell’interprete fungono da analizzatore in uscita comunicando non solo l’intensionalità espressiva ma spesso anche i turbamenti emotivi del momento. Questi ultimi a volte possono pregiudicare una progettualità specifica dell’interprete in quanto aumenta la difficoltà di monitorare in tempo reale un controllo generale sulla qualità esecutiva. Spesso si crea una differenziazione tra l’idea del brano che abbiamo in mente e quello reale che si costituisce al momento dell’esecuzione pubblica. A questo punto l’interprete spesso procede ad un’autovalutazione del proprio operato mentre si sta tracciando e questo mediamente può aiutare l’interprete a riadattare e calibrare con maggior efficienza le sezioni che andrà suonando in relazione a ciò che avrà appena eseguito. Il rischio può essere quello di svalutare anzitempo l’esecuzione che si sta realizzando entrando in un lo op di pensieri che possono scoraggiare e auto-realizzarsi peggiorando progressivamente l’interpretazione.
Nelle domande che abbiamo proposto agli studenti abbiamo incluso anche quesiti riguardanti l’effetto del pubblico sull’interprete unitamente a item sull’auto -osservazione in tempo reale e gli effetti prodotti.
Nel pensiero comune la cultura dell’accettazione dell’errore è poco diffusa ed anche se la performance musicale ha per sua natura una provvisorietà ed esistenza al momento stesso della realizzazione al di là dello studio dedicato antecedentemente, l’ascolto spesso condizionato da una che solo nelle incisioni, e non dal vivo si può ritrovare.
Esistono due teorie sull’origine degli errori in condizioni di stress psicologico:
Teoria della distrazione (Distraction Theory) e quella del
Monitoraggio volontario dei gesti (Explicit Monitoring Theory).
“Secondo la prima (Wine, 1971) il peggioramento della prestazione sarebbe il risultato di uno spostamento dell’attenzione verso informazioni non rilevanti”63
Alcuni esempi d’informazioni non rilevanti potrebbero essere pensare al giudizio del pubblico in merito all’esecuzione che stiamo realizzando, la preoccupazione di non saper eseguire correttamente un passaggio complesso o la paura di non ricordare correttamente il brano eseguito a memoria. Ovviamente pù alto sarà il livello d’ansia nell’interprete tanto più alto sarà il rischio di compiere errori distraendosi dall’evento principale.
Durante la nostra indagine abbiamo rilevato la difficoltà di mantenere nel tempo un alto livello di concentrazione: a volte anche uno stato fisico un po’ alterato, come può essere il battito cardiaco accelerato, può indurre lo studente ad una diminuzione dello stato attentivo.
“In aggiunta alla teoria della distrazione è stata avanzata successivamente la teoria del monitoraggio volontario dei gesti (Baumeister, 1984), secondo cui la pressione psicologica esercitata da eventi a forte contenuto emotivo incrementa l’attenzione verso quello che stiamo facendo, verso i singoli gesti svolti nel tentativo di effettuarli il meglio possibile e disgregando – in maniera paradossale – movimenti automatici già ampiamente rodati”.64 In sostanza finchè siamo in una fase di studio e non ancora di memorizzazione di programmazioni gestuali, porre attenzione ai singoli gesti può essere utile per calibrarne al meglio gli effetti sulla resa sonora. Viceversa una volta memorizzati i programmi motori e resi automatici, focalizzarsi su singoli atti risulterebbe penalizzante. Un po’ come quando scendiamo le scale di casa: se pensiamo di mettere un piede davanti all’altro sarà molto più difficile scendere le scale con la naturale disinvoltura del quotidiano. In effetti, capita a tutti i musicisti di suonare un brano perfettamente in modo automatizzato pensando totalmente ad altro, magari non sarà un’esecuzione particolarmente interessante ma il programma motorio in questo caso arriverà a termine senza nessun problema.
Nella nostra indagine abbiamo rilevato come, dopo i trattamenti secondo il Metodo Rességuier, i livelli d’inquietudine e di stress sono realmente diminuiti permettendo agli studenti un maggior controllo psicofisico, una maggior tenuta dell’attenzione e di conseguenza una resa performativa migliore.
La potenzialità espressiva musicale ha trovato un’uscita fluida e coesa nel momento in cui ci siamo sentiti autorizzati e riconosciuti in quell’atto specifico permettendo l’attivazione di un processo d’ascolto interiore e sonoro nel “qui e ora” dell’esperienza.
L’applicazione del Metodo ha consentito un miglioramento della qualità di presenza nella performance musicale sviluppando la capacità di una maggiore e consapevole autonomia nel monitorare in tempo reale il proprio corpo aggiustando di momento in momento, e quindi anche durante le esecuzioni, gli eventuali squilibri che si sarebbero potuti presentare. Questa ricerca ha evidenziato la concreta possibilità di creare una sorta di rispecchiamento, di risonanza intima che accoglie uno stato d’essere presente in costante collegamento fra sé, il pubblico e la musica.
Laboratorio
Il lavoro si è svolto con 7 studenti (tra i 16 e i 19 anni) del Conservatorio di Musica di Cagliari che frequentano il corso medio (dal 5° all’8° anno) di pianoforte (4) e violino (3). Questi studenti erano impegnati nella preparazione dei saggi di classe, appuntamenti concertistici in cui i ragazzi suonano davanti ad un pubblico scelto per entrare in contatto con i problemi che l’attività concertistica comporta. Dopo l’esame delle risposte date al questionario somministrato sono stati identificati i 2 studenti che davano i risultati più penalizzanti per la qualità della performance. A questi 2 studenti sono stati fatti dei trattamenti Rességuier secondo lo schema sotto indicato:
Fase 1
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Fase 2
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Fase 3
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Fase 4
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Fase 5
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1 ora prima della prima prova pubblica tutti gli studenti rispondono ad un questionario;
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una settimana dopo 2 studenti ricevono, prima della lezione individuale, un primo trattamento Rességuier di circa 20 minuti ciascuno;
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1 ora prima della seconda prova pubblica gli stessi 2 studenti ricevono un secondo trattamento Rességuier di circa 20 minuti, successivamente tutti gli studenti rispondono al questionario;
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una settimana dopo gli stessi 2 studenti ricevono, prima della lezione individuale, un terzo trattamento Resseguier di circa 20 minuti ciascuno;
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1 ora prima della terza prova pubblica gli stessi 2 studenti ricevono un quarto trattamento Rességuier di circa 20 minuti ciascuno, successivamente tutti rispondono al questionario;
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Le domande erano relative alle sensazioni fisiche ed al disagio psicologico prima e durante la performance. La misurazione ha seguito una scala di 3 valori compresi fra “1= sono d’accordo” e “0= qualche volta” “-1= non sono d’accordo”.
1
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Non ho mai saputo prima di suonare se suonerò bene
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-1
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0
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1
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2
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Pensando alla valutazione interferisco con il mio rendimento della performance
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-1
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0
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1
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3
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Anche nelle situazioni performative più stressanti, sono sicuro che andrà bene
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-1
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0
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1
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4
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Io sono spesso preoccupati per una reazione negativa da parte del pubblico
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-1
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0
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1
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5
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A volte ho la sensazione di ansia senza particolare motivo
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-1
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0
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1
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6
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Fin dall’inizio dei miei studi musicali, mi ricordo che ero preoccupato per l’esecuzione
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-1
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0
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1
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7
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Temo che una cattiva performance possa rovinare la mia carriera
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-1
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0
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1
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8
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A causa dell’ ansia il mio rendimento è peggiore
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-1
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0
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1
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9
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Spesso preparo un concerto con un senso di terrore e di imminente catastrofe
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-1
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0
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1
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10
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Mi preoccupo molto prima di uno spettacolo, non posso dormire
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-1
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0
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1
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11
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Prima della performance ho quasi sempre mal di stomaco
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-1
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0
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1
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12
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Sono spesso preoccupato circa le mie capacità di suonare
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-1
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0
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1
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13
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Preferirei suonare da solo che di fronte ad altre persone
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-1
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0
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1
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14
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Prima di una performance tremo o sono agitato
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-1
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0
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1
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15
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Quando mi esibisco davanti ad una platea ho paura di sbagliare
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-1
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0
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1
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16
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Quando mi esibisco davanti ad una platea il mio cuore batte molto velocemente
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-1
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0
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1
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17
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Quando mi esibisco davanti ad una platea trovo difficile concentrarmi sulla musica
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-1
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0
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1
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18
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Se faccio un errore durante una performance di solito vado nel panico
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-1
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0
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1
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19
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Quando mi esibisco davanti ad una platea ho le mani sudate
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-1
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0
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1
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20
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Quando ho finito l’esecuzione di solito sono contento della mia prestazione
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-1
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0
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1
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21
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Poco prima di suonare mi sento nervoso
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-1
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0
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1
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22
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Temo che ai miei genitori o al mio maestro potrebbe non piacere la mia performance
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-1
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0
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1
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23
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Durante la performance sento i miei muscoli tesi
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-1
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0
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1
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24
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Le notti prima della performance non riesco a dormire bene
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-1
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0
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1
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I risultati emersi dopo la lettura delle risposte al questionario sono i seguenti:
nella Fase 1 hanno evidenziato un disagio dato dall’ansia e dallo stress per quasi tutti gli studenti. Fra tutti sono stati scelti 2 studenti, un pianista e un violinista della stessa età, risultati particolarmente tesi nelle fasi preparatorie e durante la performance stessa;
nella Fase 3, dopo il secondo trattamento, si nota un lieve miglioramento per i due studenti sia sul piano psicofisico che su quello performantivo mentre i dati restano invariati per tutti gli altri studenti;
nella Fase 5 dopo il quarto trattamento il miglioramento dei due studenti si è dimostrato più evidente sia sullo stato di concentrazione generale che su quello specificatamente musicale mentre i dati restano invariati per tutti gli altri studenti.
Conclusioni
Lo studio qui descritto intende esporre le diverse componenti che interagiscono durante un trattamento Rességuier. La riflessione si sposta non tanto a dimostrare l’efficacia terapeutica del Metodo, già ampliamente riconosciuta, quanto ad illustrare ,sul piano scientifico, gli aspetti che interessano tanto l’operatore quanto il paziente durante un trattamento.
L’esistenza di un meccanismo neurofisiologico capace di spiegare i diversi aspetti della nostra capacità di entrare in relazione con gli altri è un primo passo. Grazie ai neuroni specchio infatti possiamo non solo comprendere il significato delle azioni altrui ma anche simulare quella stessa azione.
Osservare un’azione infatti, induce nell’osservatore l’attivazione dello stesso circuito nervoso che ne controlla l’esecuzione. Questo sistema di neuroni specchio permette di cogliere l’intenzione che ha promosso l’esecuzione di un’azione tanto che l’attribuzione avviene in modo automatico grazie all’analisi degli aspetti motori dell’azione e del contesto in cui essa avviene.
Tali scoperte hanno una ricaduta fortissima su tutte quelle che sono le nostre capacità di entrare in risonanza con la situazione e con tutto ciò che l’altro prova sia sul piano fisico che emozionale profondo. Sembrerebbe che il nostro cervello sia congegnato per rispecchiare e simulare l’esperienze e l’emozioni esperite da altri.
Questa peculiarità esclusivamente umana rappresenta la condizione indispensabile durante un trattamento Rességuier: la capacità di entrare in risonanza, di simulare fin dai neuroni con la condizione dell’altro ci predispone al meglio per l’incontro e quindi per il trattamento.
La relazione con l’altro e la comprensione delle intenzioni altrui si conferma sulla nostra capacità automatica di selezionare strategie d’azione, acquisite nella nostra esperienza, più idonee in relazione allo scenario osservato. In tutto ciò il sistema motorio non è mai isolato dalle altre funzioni cerebrali infatti le aree pre-motorie del SNS (sistema neuroni specchio) sono attive durante l’esecuzione e l’osservazione di atti motori quanto nella comprensione del perché dell’azione, dell’intenzione specifica.
Nell’uomo, come afferma Plessner, la dimensione sensoriale e motoria si accordano a vicenda in un’unità dove il piano anatomico, funzionale e ambientale si adattano reciprocamente.
Il meccanismo sostenuto dal SNS è la simulazione incarnata che permette di appropriarsi esperenzialmente dell’esperienza altrui. Tutto ciò è possibile non grazie ad una spiegazione ma attraverso una via diretta che nasce automaticamente dall’interno del nostro organismo. Significa essere in – contatto nel rispecchiamento delle azioni e sensazioni altrui attraverso il corpo senza dover agire ma creando un modello analogo a quello che è alla base della comprensione dei nostri stessi comportamenti. Nella simulazione incarnata si creano cioè dei modelli impliciti di comportamenti e di esperienze altrui che ci permettono di empatizzare con gli altri.
Perciò se la capacità di condividere tutta questa molteplicità si esplica funzionalmente nella simulazione incarnata la capacità di sintonizzarsi con l’altro si esprime nella pratica Rességuier. In ogni trattamento si esplicita un sentire fisico che risuona in chi accompagna e che permette una reale sintonizzazione con il sentire altrui, si attiva realmente un processo d’empatia incarnata.
Anche empatizzare con la sensazione tattile di un soggetto e sentire davvero sul proprio corpo la stessa sensazione si diversifica solo per una differente intensità dell’attivazione delle stesse aree cerebrali. L’attivazione di queste stesse regioni corticali ci suggerisce che la nostra capacità di riconoscere e comprendere a livello esperenziale le esperienze tattili altrui, possa essere mediata grazie al meccanismo della simulazione incarnata.
L’esperienza del tocco, durante un trattamento Rességuier, rappresenta la prossimità per eccellenza rendendo vitale non solo la relazione tra i due soggetti ma anche ogni percezione propriocettiva che si andrà manifestando in entrambi.
Anche nell’esperienza musicale la componente tattile svolge un ruolo di primaria importanza in termini di sensibilità fine delle dita , delle labbra e di tutte le componenti interiori che si attivano durante il processo di produzione del suono.
Grazie agli ultimi studi di neuroestetica i neuroscienziati stanno osservando come si verifica l’immedesimazione dell’osservatore nella gestualità propria della produzione dell’opera d’arte. Si verifica cioè un’imitazione fisica interiore di azioni compiute da altri che si osservano rappresentate in pitture e sculture. Proprio come dimostrato da A. R. Damasio le sensazioni emotive sono collegate alle mappe neuronali dello stato fisico corrispondente attivando il circuito del “come se” e cioè simulando come se il corpo dell’osservatore fosse realmente coinvolto in prima persona. In tutto questo emerge che anche durante una relazione empatica di fronte ad un’opera d’arte esiste una base materiale individualbile nel nostro cervello oltre ad una condivisione culturale ed esperenziale delle valenze comunicative gestuali condivise collettivamente.
Plessner sottolinea che tutta la corporetà e le sue dimostrazioni costituiscono un’imprescindibile fonte di conoscenza dell’uomo proprio perché è tutt’uno con il proprio corpo è un’unità psico-fisica concreta. Osservando questi comportamenti espressivi si evidenzia come la componente esteriore ed interiore si mostra rivelando la chiarezza di fondo.
Tutto questo accade anche nella performance musicale tanto che i gesti dell’interprete, le intensioni espressive, al pari dell’emozione ed anche della paura sono atti che il pubblico percepisce anche involontariamente “come se” il proprio corpo ricevesse dall’interno gli stessi segnali conformi all’emozione osservata. Questo accade perché a livello cerebrale la simulazione interna consite in una rapida modifcazione delle mappe relative allo stato corrente del corpo. L’ agire si esplicita così nell’immediato presente quanto nella capacità di anticipazione che si realizza nel “mettersi nei panni dell’altro”e quindi nel sentire fisicamente le risposte che il mio corpo avrebbe provato in determinate situazioni.
L’operatore che tratta un individuo secondo il Metetodo Rességuier mette in atto, consapevolmente e non, tutti questi meccanismi cerebrali che permettono un incontro con l’altro costruito sul un sentirsi corporeo reale. Dall’incontro fisico con l’altro ricevo la consapevolezza del mio stesso corpo grazie al riconoscere l’altro come un corpo vivo e fisico tanto che questa esperienza trasformerà entrambi i protagonisti della relazione. Si creerà una risonanza reciproca fatta di sensazioni corporee ed emozionali che salderanno le due persone in un viaggio incarnato ed in costante divenire. Questa dinamica tra me e l’altro ripropone il movimento dello slancio in avanti e fuori tipico dell’empatia e della relazione.
L’ incontro con l’altro coinvolge tutto il nostro corpo creando di fatto uno stato di “risonanza corporea” in cui realtà esterna (l’altro) e realtà interna (l’ingombro dell’io) vengono a patti, trovano una misura reciproca.
Il trattamento rappresenta un esperimento di sé nell’alterità in cui vengono attivate diverse possibilità di essere in contatto con l’altro.
Il flusso delle nostre sensazioni è interrotto, come afferma Plessner, dalla riflessione dalla capacità dell’uomo di oggettivare e perciò di potersi volgere verso il proprio interno. L’eccentricità dell’uomo gli permette di decentrarsi, di prendere le distanze da sé “ponendosi alle proprie spalle” prendendo posizione non solo nei confronti di un ambiente esterno, ma anche rispetto a sé, al proprio stesso corpo. Perciò lo sdoppiamento eccentrico va tenuto unito, in equilibrio contro il rischio della frattura, della separazione schizzofrenica. La stessa unità che si ricrea in un trattamento dove l’eccentricità si ri-centra passando attraverso altri individui, relazionandosi con ciò che sta oltre sé, che è l’altro da sé. Chi accompagna rappresenta un tramite, un mezzo attraverso il quale l’individuo, magari attraverso forme espressive non consuete, si ritrova, si riconosce.
Allo stesso modo in cui l’uomo che si abbandona al riso o si lascia andare al pianto perde il controllo su di sé e sarà il corpo a prendere l’iniziativa e a reagire per quanto gli è possibile prendendo una doppia distanza da sé e dal mondo. Solo l’uomo, afferma Plessner, ha questa capacità di essere e avere un corpo, di esistere e di vedersi come un esistente.
A mio parere proprio questa consapevolezza tipica dell’uomo con la sua continua mediazione tra interno esterno, con l’essere corpo e sapere di avere un corpo che lo rende capace di proiettarsi oltre sé stesso, determina il contorno che accomuna i due protagonisti della relazione in un trattamento Rességuier.
Entrambi consapevoli, loro malgrado, di stare nel proprio corpo vissuto da dentro e nel corpo esterno, che mi ospita e che a volte mi intralcia, entrambi alla ricerca di una coincidenza con il proprio sé.
C’è di fatto una costante simulazione reciproca che ci proietta in una cornice comune fatta di esperienza e di cultura comune che in qualche modo ci rassicura e ci rispecchia pur nella nostra intima precarietà, simulazione che penso possa essere una delle ragioni responsabili degli eventi che si concretizzano in un trattamento Rességuier in entrambi i protagonisti della relazione.
Ringraziamenti
Grazie infinite a Fabrizio, compagno di vita e di lavoro, critico illuminato e fonte quotidiana di suggerimenti ed amorevole sostegno. Grazie a Daniela per la presenza incoraggiante anche nei momenti di difficoltà e delusione e per avere, anche quando sembra impossibile, la parola o il gesto giusto per ritrovarsi. Un ringraziamento particolare a Jean Paul per gli stimoli profondi che hanno trasformato il mio agire e il mio pensare aiutandomi a correre attenta verso l’altro.
Cagliari – Firenze, Aprile 2009
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Note