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Riflessioni sul saggio: NOI perchè due sono meglio di uno di M. Ammaniti

Il saggio di cui scrivo oggi è solo apparentemente lontano dalla pratica musicale perché, come già visto per altri libri che abbiamo recensito, molti sono i fili che legano al mondo dei suoni le riflessioni apparentemente distanti perché non specificatamente musicali.

Premetto inoltre che toccherò solo alcuni aspetti di questo bellissimo saggio proprio in virtù di una scelta che privilegia interconnessioni e ibridazioni musicali dentro un libro che musicale non è.

Prepariamoci allora ad attraversare come in un viaggio paesaggi che diversamente ci suggestionano attraverso la lettura “sonora” del saggio di Ammaniti.

Nel libro l’autore traccia quella che può essere stata l’evoluzione dell’uomo attraverso le proprie capacità di cooperazione e collaborazione che hanno caratterizzato da sempre la specie umana.

In un’epoca come la nostra centrata sull’individualismo narcisistico la riflessione si concentra sulla cruciale importanza della relazione fin dalle primissime fasi dello sviluppo del bambino.

Ecco, già con queste premesse possiamo tracciare una linea di contatto con il mondo dei suoni.

L’esperienza di suonare uno strumento o cantare coinvolge il soggetto nella sua interezza fisica e psichica. Inizialmente la vibrazione stessa attraversa il corpo di chi suona avvolgendolo dall’interno in una risonanza che crea uno spazio esclusivo. Gli studi a riguardo ci dicono che questo spazio percepito come soggettivo di fatto non lo è, in quanto già all’inizio della vita ci troviamo in uno “spazio noi-centrico” sonoro che allaccia il corpo del bambino a quello della madre in una relazione che dai primordi si fa concreta e stabile. Perciò questa propriocezione del suono che vibra in noi è qualcosa che la nostra esperienza conosce già da tanto tempo.

Anche per i suoni esiste una sorta di qualità relazionale fin dal principio: possiamo ascoltare o ricordare una linea melodica per noi gradevole ma non pensiamo certo che un sol diesis sia bello di per sé! Sono le relazioni tra i suoni ad essere belle!  La musica non è percepita come un suono isolato ma come un insieme dotato di senso costituito da ciò che lo precede e da ciò che lo segue.

Chi fa musica così come chi l’ascolta vive in tempo reale una bilocazione cognitiva che gli permette di essere nel presente ma con un’attenzione al passato prossimo così come con un’anticipazione sull’imminente divenire. Tutto questo fa parte dell’esperienza sonora che, al pari del movimento nello spazio, non lascia traccia se non nella memoria di chi ascolta e/o produce suoni costituendo così una sorta di circolo virtuoso che contempla contemporaneamente lo stare presso di sé unitamente allo stare fuori e intorno a sé.

Questa capacità di stare con sé e contemporaneamente all’esterno si esplicita costantemente nella nostra vita come nella “risonanza empatica che implica un processo automatico che si attiva ogni volta che incontriamo un’altra persona e la guardiamo in viso”.  Prosegue l’autore: “Il mio cervello sta rispecchiando il cervello dell’altra persona e attraverso il mio riconoscimento di quello che sto provando in questo momento sono in grado di comprendere l’altra persona”.

In ogni momento della nostra vita siamo sempre in relazione con l’altro e, grazie a questo l’essere umano ha tante personalità quante le sue stesse relazioni interpersonali. L’Io che si costituisce non è più considerato un’entità rigida e unitaria ma al contrario un’entità in costante trasformazione dove unità e molteplicità coesistono parimenti.

Nel suo saggio Ammaniti ci conferma che i neuroni specchio ci aiutano nell’incontro con gli altri attivandosi nella risonanza emozionale e permettendoci di cogliere lo stato emotivo dell’altro.  Tale meccanismo d’interazione sociale è il più immediato e successivamente la mentalizzazione, “processo più lungo e complesso perché implica una partecipazione della corteccia prefrontale”, ci offre gli strumenti per accogliere la prospettiva degli altri così da coglierne le intensioni, i desideri oltre alle perturbazioni emotive.

Alla luce di queste considerazioni possiamo affermare che se restiamo aperti e disponibili alla relazione, alla reciprocità anche nella pratica educativa saremo in grado d’insegnare, prima ancora dei contenuti, il valore dell’interazione con l’altro e il vantaggio reciproco della collaborazione aspetti questi che nelle pratiche didattiche musicali sono ancora troppo spesso disconosciuti. L’autore a proposito scrive che “la scuola è una vera palestra per l’apprendimento dei codici delle interazioni sociali che verranno utilizzate non solo nell’incontro con gli altri bambini ma successivamente anche nella vita adulta”.

Il senso del noi è legato alla percezione di una connessione, ad una appartenenza sociale e culturale che rappresenta un ‘area di complicità condivisa dentro la quale l’empatia permette l’attivazione di un processo identificativo in quanto l’altro ci assomiglia e perciò viene assimilato al nostro essere.

In questo processo, scrive l’autore, i figli unici vivono un’ulteriore difficoltà in quanto si trovano al centro dell’attenzione e ciò produce lo sviluppo di atteggiamenti narcisistici che interferiscono con la scoperta dell’altro e del noi.

Eppure sappiamo che il nostro Sé si costituisce grazie alle relazioni significative che si stabiliscono già in fase prenatale come dimostrato dalle interazioni tra madre e bambino. Queste relazioni proseguono dopo la nascita, per mezzo del sonoro, attraverso il motherese che è il linguaggio tipico che si usa con i neonati plasmando il profilo melodico e prosodico ai fini comunicativi di scambio e di gioco. Questo tipo di linguaggio rappresenta una prima forma espressiva sonora a valenza comunicativa-emozionale ancor prima del valore semantico delle parole.

Tutte le diverse emozioni, le imitazioni, l’elaborazione si esprimono così attraverso le variazioni di altezza, ritmo e movimento sia da parte di chi invia l’informazione sia, per risonanza da chi la riceve. Oggi sappiamo che queste esperienze protomusicali sono determinanti non solo nel favorire adattamenti fisiologici ed emozionali ma anche nel delineare veri e propri modelli interattivi che acquistano una valenza significativa e socialmente condivisa. Si crea cioè una prima forma di scambio comunicativo costruito sulle variazioni prosodiche del linguaggio e del movimento con o senza parole e questa capacità di risonanza con l’altro si riattiva non solo con il neonato ma anche durante la crescita con i genitori prima e poi con i coetanei e con il gruppo sociale di appartenenza. In questo scenario l’influenza ambientale ha un ruolo primario che si esplicita prima nella famiglia e successivamente nel contesto sociale così come accade per la musica.  Infatti la percezione sonora dipende dalle esperienze musicali esperite dal soggetto che veicolano a sua volta le preferenze in termini di generi relativamente al piacere o meno di quell’esperienza.

Citando gli studi di D. Stern, l’autore illustra il concetto di sintonizzazione in termini di imitazione transmodale che ci permette di riprodurre lo stato d’animo e le emozioni sottostanti un comportamento dell’altro. Le interazioni relazionali, continua Ammaniti, nei primi anni di vita si costituiscono attraverso il Contagio, l’Empatia e la Mentalizzazione.

Anche qui potremo creare un parallelismo musicale.

Un primo momento di approccio alla pratica strumentale e vocale è quasi sempre un momento di imitazione: si riproduce ciò che ascoltiamo, ripetiamo il comportamento, il “come si fa”.

Contemporaneamente a questo l’azione formativa dovrebbe essere incentrata sulla capacità di entrare in risonanza Empatica con lo studente stimolando un’azione di autoempatia al fine di indagare su come ci si sente mentre lo si fa, quindi mentre si canta o si suona, quali sono le emozioni, lo stato propriocettivo, in una ricerca di risonanza affettiva con l’altro che mantenga integre le singole individualità.

In fine la Mentalizzazione, “la prospettiva cognitiva nei confronti dell’altro che consente di comprendere quali sono i suoi desideri e le sue intensioni”. Questa è certamente la parte più complessa in cui è possibile mettere a fuoco i pensieri relativi al come lo studente ha percepito di aver realmente fatto in termini di produzione sonora: è stato facile, difficile, c’è un senso alto o basso di autoefficacia, per come lo studente si sente e percepisce l’agio di poter comunicare al proprio insegnante per confrontare i propri e gli altrui desideri e intensioni. Tutto questo osservato in un’ottica di reciprocità e relazione ci può far sentire il valore di una conferma personale così importante quando s’intraprende lo studio di uno strumento musicale. L’essere accolti per come siamo con tutte le incertezze e le fragilità tecniche, emotive, senza sentirsi inefficaci o inadeguati relativamente al compito da svolgere. In merito a questi pensieri desidero aprire ad alcune considerazioni di ordine pedagogico che possono offrire ulteriori spunti di riflessione. L’insegnante in questo contesto potrà lavorare per costruire una didattica che si muova sulla dinamica del rispecchiamento in cui l’altro è uguale e diverso da sé in uno spazio temporale dove l’ascolto, lo sguardo e la risonanza empatica liberano dalla paura dell’errore che troppo spesso paralizza e inibisce la pratica musicale. Sarà un insegnante disponibile a lasciar accadere le cose, ad osservarle senza anticiparle non sovrapponendosi allo studente curando una qualità di sintonizzazione empatica capace di stare anche nelle situazioni di disagio, sconforto, incertezza, in una attenzione costante alle diverse istanze personali e libera dal giudizio e dalla valutazione. Un’ utopia? Forse, ma forse possibile e praticabile più di quanto si potrebbe pensare.

Il nostro viaggio volge al termine ma speriamo che le suggestioni trasmesse in queste righe possano produrre altri quesiti e curiosità da soddisfare. La lettura del libro NOI, perché due sono meglio di uno, rappresenta a mio parere un’ottima occasione per riflettere e pensare il mondo dell’io e il mondo del noi nella vita così come nell’insegnamento e nella pratica musicale.

 

Alessandra Seggi

 

 

MASSIMO AMMANITI

Neuropsichiatra infantile e psicoanalista, tra i più autorevoli psichiatri italiani, è professore onorario della Sapienza Università di Roma. Tra i suoi libri: “Nel nome del figlio” (Mondadori, 2003), “Pensare per due. Nella mente delle madri” ( Laterza, 2009) e “La nascita dell’intersoggettività” (con V. Gallese, Cortina, 2014). Collabora a “Repubblica”.

 

NOI perché due sono meglio di uno – Ed Il Mulino 2014 Bologna

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Recensione: Elementi di didattica della musica

Strumenti per la scuola dell’infanzia e primaria

 

Tutti coloro che si occupano di formazione musicale, insegnanti e operatori, condividono la validità formativa dell’apprendimento musicale fin dalla tenera età, il suo valore e l’importanza nella vita e nell’esperienza dei bambini.  Ma quanti di noi conoscono le ragioni peculiari, le aree di sviluppo specifiche attivate concretamente durante l’esperienza musicale?

In questo libro, agile nella lettura, gli autori tracciano un excursus sul vasto panorama della formazione musicale attraverso l’analisi di studi e ricerche scientifiche precise.

Sulla didattica musicale si è scritto molto in questi anni ma spesso si sono approfonditi temi specifici come per esempio la didattica del ritmo, dell’ascolto, ecc, mentre in questo piccolo ma intenso saggio, si affrontano le diverse tematiche che costituiscono i fondamenti dell’educazione musicale, con uno sguardo esteso e allargato.

Gli autori presentano modelli recenti relativi all’apprendimento musicale unitamente ad una bibliografia aggiornata circa le principali tendenze nella ricerca internazionale in questo settore.

Un compendio attuale sulla didattica della musica e sullo sviluppo delle abilità musicali dall’infanzia alla preadolescenza, con particolare riferimento ai processi coinvolti nelle diverse esperienze del far musica.

L’indice del saggio traccia un itinerario preciso a partire dalla Musica come materia formativa soffermandosi poi sullo Sviluppo delle abilità sonore e musicali nell’infanzia e nella preadolescenza, approfondendo le Teorie dello sviluppo dell’apprendimento musicale e proseguendo nell’analisi dei temi quali Creare la musica, Eseguire la musica e Ascoltare la musica.

La pratica musicale sviluppa abilità non solo specifiche ma anche più generali, quali per esempio, la capacità di ascolto non solo sonora ma anche di comprensione del proprio universo emotivo e di quello altrui. Tale sensibilità avrà una ricaduta sulle abilità sociali che regolano le attività musicali oltre che influenzare lo stato generale di benessere psicofisico e di motivazione di ciascun individuo.

Un altro aspetto determinante è quello che lega la musica allo sviluppo delle abilità motorie in termini di coordinazione ma anche di fiducia in sé stessi, di autodisciplina e di percezione spazio-temporale.

Anche per quanto riguarda le relazioni tra musica e linguaggio sia a livello percettivo che produttivo, gli studi evidenziano una condivisione delle funzioni cognitive, comuni fra musica e linguaggio, nell’elaborazione dell’informazione come per esempio l’attenzione uditiva, la memoria e le abilità di elaborazione.

In questo panorama così ampio e variegato dove l’influenza della pratica musicale agisce a livello non solo specifico ma globale sulla formazione dell’individuo, le azioni didattiche più efficaci risultano quelle capaci di coinvolgere attivamente i bambini assecondando la libera espressione sonora ed emotiva del gruppo. L’insegnante capace di gratificare i piccoli contribuirà a sviluppare una dimensione positiva non solo singola ma anche collettiva e sociale, presupposto indispensabile per la cooperazione di classe.

La didattica deve basarsi sui processi anziché sui prodotti, coinvolgendo le capacità metacognitive degli studenti”.

Così chi apprende sarà protagonista consapevole del suo stesso modo d’ imparare e potrà agilmente operare attraverso meccanismi di transfer fra i diversi apprendimenti da un’area all’altra del sapere. Le capacità logiche sviluppate attraverso l’esperienza musicale, quali la seriazione, la corrispondenza,  la classificazione, il problem solving, sono infatti complementari ad altre aree del sapere sia scientifiche che umanistiche.

In tutto ciò le esperienze musicali dovranno essere sempre positive e gratificanti  per i bambini proprio per sviluppare l’autostima e la motivazione che insieme allo sviluppo della dimensione cognitiva ed emotiva-affettiva, rappresentano il presupposto imprescindibile di ogni azione didattica efficace.

Si sottolinea il valore dell’esperienza sonora già in fase prenatale e successivamente durante i primi anni della vita sia in termini di ascolto che di produzione sonora diretta. Questo primo contatto rappresenterà la base dalla quale partire per lo sviluppo della dimensione musicale nella crescita del bambino.

A tal proposito, nel libro si espongono tre approcci: la Music Learning Theory di Gordon, la Pedagogia del  Risveglio di Delalande e il Progetto inCanto di Tafuri.

Senza addentrarci nei dettagli specifici, tutti gli autori concordano sul valore dell’ambiente sonoro e delle stimolazioni acustiche che gli adulti propongono ai bambini sempre in un clima emotivamente sereno e accogliente.

Proseguendo nella lettura gli autori affrontano il tema, da sempre molto discusso, della Creatività musicale analizzata da studiosi in ambito psicometrico “definendo i fattori che caratterizzano la creatività musicale con la costruzione di strumenti oggettivi per la sua misurazione”.

In particolare attraverso tecniche quantitative e qualitative utilizzando test, questionari, interviste, focus group e studi di casi.

“L’analisi dei prodotti considera la coerenza e l’originalità nell’uso di caratteristiche formali quali la melodia, il ritmo e la loro organizzazione nel brano”.

Unitamente a questi aspetti sono stati considerati anche “la generazione di ideee”, “il recupero delle informazioni nella memoria”, “la traduzione, l’utilizzo di sistemi di notazione e la revisione”.

Per studiare tali processi sono state esaminate le pratiche dell’improvvisazione e della composizione con particolare attenzione ai “Modelli dei processi compositivi” (analizzati nelle singole componenti) e alla relazione “Composizione e tecnologia”.

Gli autori si soffermano sia sulla “Valutazione della creatività musicale” mettendo in evidenza i criteri specifici presenti nelle ultime ricerche sul campo, sia sullo “Sviluppo della cretività musicale” esponendone un modello riguardante le abilità d’improvvisazione articolato in più livelli.

Stessa analisi per lo “Sviluppo delle abilità di rappresentazione grafica della musica” e “l’Approccio socioculturale e apprendimento cooperativo della composizione”.

Possiamo dire, anche solo leggendo i titoli di questi interessantissimi paragrafi, che il panorama della didattica musicale si sta finalmente ampliando dalle consolidate prassi dell’insegnamento accademico?

Leggere questo libro è come respirare una boccata d’ aria fresca e libera da tutti i luoghi comuni tipici di una visione statica e inalterata della didattica musicale.

I dati emersi dagli studi delineano l’urgenza di configurare una professionalità dell’insegnante capace di sviluppare nello studente un pensiero critico attivando processi di problem solving in un’ottica di apprendimento collaborativo, per stimolare la creatività partendo da ciò che il bambino sa fare e ponendo l’accento su una didattica dei processi piuttosto che dei prodotti.

In quest’ottica anche la tecnologia rappresenta un ausilio utile non solo per la “facilitazione nell’esecuzione dei compiti ma anche per una più diretta espressione del pensiero creativo”.

Improvvisare e comporre da subito, lavorando sull’esperienza diretta del fare e pensare la musica per poi trarre da lì gli elementi teorici specifici.

Una didattica così impostata è in grado di promuovere la generazione di idee sonore da  organizzare e trascrivere socializzando le conoscenze implicite degli studenti in una condivisione di gruppo.

Si tratta di riflettere insieme alla classe, studenti e docenti coinvolti entrambi nel processo formativo, risolvendo problemi e ottenendo soluzioni significative.

Una visione di questo tipo elimina lo spettro della competizione e della concorrenza, così dannoso e discriminante, promuovendo la collaborazione e quindi il valore del fare e apprendere musica insieme, come un prezioso valore aggiunto.

Gli autori c’invitano a creare “contesti innovativi per la promozione delle capacità divergenti, sollecitando la comunicazione interattiva e la socializzazione positiva”.

Il saggio si conclude con due capitoli, rispettivamente Eseguire la musica e Ascoltare la musica.

Le indicazioni didattiche invitano gli insegnanti a proporre la notazione successivamente all’esecuzione informale perchè crei nello studente una rappresentazione interna dei suoni e non una rigida associazione suono/segno/diteggiatura.

Si sollecita l’opportunità di proporre un repertorio musicale ampio per epoche, generi e stili per arricchire l’esperienza sonora degli studenti e allo stesso tempo fornire diverse strategie di studio incentivando processi metacognitivi capaci di restiuire un senso di reale autoefficacia.

“Suonare uno strumento può essere un’attività molto gratificante ma anche molto frustrante, ed è compito degli insegnanti progettare un ambiente positivo e definire le strategie didattiche necessarie a rendere questa attività il più possibile produttiva e appagante.”

Nel capitolo “Ascoltare la musica”, invece, si sottolinea l’importanza di utilizzare metodologie idonee per condurre esperienze di ascolto, coinvolgendo i bambini sia emotivamente che cognitivamente.

Anche questa attività risulterà efficace nella misura in cui l’insegnante sarà in grado di curare gli aspetti elaborativi dell’esperienza così da coinvolgere attivamente i bambini anche attraverso associazioni sensoriali, per rinforzare le capacità di attenzione e di memorizzazione.

La didattica musicale, così come presentata dagli autori, diventa scienza dell’apprendimento, attivando processi metacognitivi per lo sviluppo della consapevolezza di sé, all’interno di un clima empatico e sereno; quest’ultimo sarà capace di restituire il valore centrale alla relazione educativa fra i componenti dell’azione formativa.

Infatti, anche nell’esperienza musicale, così come nelle altre discipline scolastiche, si attiverà un apprendimento euristico, incentrato sulla scoperta attraverso la soluzione di problemi, seguendo i diversi stili di apprendimento e intelligenze degli alunni, senza più separare “il fare dal pensare.”

I dati emersi nella lettura di questo libro delineano la figura di un insegnante capace di facilitare l’apprendimento, di offrire occasioni di esperienze dirette, di nutrire la motivazione prendendo costantemente atto dei bisogni emotivi e formativi dei propri studenti.

Per tutti coloro che si occupano d’insegnamento musicale sono certa che in questa lettura scopriranno argomenti stimolanti per riflettere e rivedere la propria professionalità e forse anche per nutrire un rinnovato entusiasmo verso il piacere unico e irripetibile d’insegnare.

Alessandra Seggi

 

MICHELE BIASUTTI, professore di Pedagogia sperimentale all’Univeristà di Padova, è direttore scientifico di progetti e congressi internazionali e autore di volumi e articoli pubblicati su riviste con impact factor.

ELEONORA CONCINA, è assegnista di ricerca presso il dipartimento FISPPA dell’ Università degli Studi di Padova. (Il bambino e il suono. Sviluppo delle abilità sonore e musicali nell’infanzia e nella preadolescenza)

SARA FRATE, è dottoranda in Scienze pedagogiche, dell’educazione e della formazione presso l’Università degli Studi di Padova. (Teorie dello sviluppo dell’apprendimento musicale)

Elementi di didattica della musica – Strumenti per la scuola dell’infanzia e primaria – Edizioni Carocci Faber 2015

 

 

Recensione: Ascoltarsi, ascoltare Le vie dell’incontro e del dialogo

Ascoltarsi e ascoltare: per un musicista è quasi un’ovvietà almeno in linea teorica!
In concreto sappiamo bene che prestare attenzione è un’arte complessa e articolata molto più che scontata e implicita nell’atto del far musica.
In questo intenso libro però non si parla direttamente di ascolto musicale tradizionalmente inteso ma di un ascolto profondo a partire da sé, dal silenzio, attraversando questo universo interiore in quindici tappe dove l’autore delinea con cura le differenti modalità dell’udire.
“Nell’ascoltarsi, nell’essere ascoltati e nell’ascoltare prendiamo coscienza della nostra e altrui esistenza, strutturiamo la nostra e altrui identità. Se viene meno anche solo una di queste esperienze, corriamo il pericolo di diventare stranieri a noi stesso e all’altro”. Castellazzi ci propone d’indagare la difficile arte dell’ascolto come esperienza capace di trasformarci profondamente soprattutto in questo nostro tempo in cui molti parlano ma pochi ascoltano.
Ne è un esempio l’ascolto bulimico del nostro tempo che nutre un pensiero corto, dove non c’è spazio e tempo di riflessione e dove si perde la dimensione soggettiva a vantaggio di una dimensione anonima tra anonimi. I social network rappresentano oggi gli strumenti attraverso i quali sopperire in fretta al vuoto interiore che ciascuno vive accontentandosi di qualsiasi interlocutore anche anonimo e senza volto.
L’autore, osservando da un punto di vista psicoanalitico, c’invita a riflettere anche sulla paura di ascoltarsi, pratica che non è mai troppo agevole sia che lo si faccia in solitudine che in compagnia dello psicoterapeuta. “Talvolta il prendere coscienza delle radici della propria esistenza… l’entrare in contatto con il vero Sé, per anni vissuto come uno straniero e percepito come una minaccia perché non coincidente con la propria identità cosciente, è talmente angosciante che il paziente preferisce interrompere perfino la terapia innescando così una precipitosa fuga da se stesso”. Ma come agire per individuare la presenza di una resistenza ad ascoltarsi? Il libro ci propone di osservare in particolare la nostra tendenza a esercitare l’ostinazione, il fanatismo e l’intolleranza intesi come forme d’irrigidimento del proprio pensiero e comportamento.
Ma questo tipo di chiusura, d’indurimento non accade forse anche nell’esperienza del far musica? Quando si crede di ascoltarsi e ascoltare ma in realtà lo si fa in modo stereotipato e poco aderente al proprio reale percepire? Quando prestiamo attenzione a una musica, il nostro impegno implica o dovrebbe implicare una curiosità, una sospensione del giudizio a favore di un’ osservazione attenta e autentica del reale. Se ci concediamo di collocarci di fronte al sonoro senza dogmi prefissati saremo sorpresi di vivere un’esperienza sensoriale molteplice e non vincolata a configurazioni pre-stabilite.
Proseguendo nella lettura del libro si affronta il tema dell’ascolto del nostro interlocutore e non solo delle sue parole ma anche dei suoi silenzi, del suo parlare tramite il corpo in una circolarità che include l’attenzione a sé favorita dalla relazione e viceversa dove il bisogno di essere ascoltati è l’urgenza di essere riconosciuti. “E’ un dato di fatto che quando nell’esperienza dell’ascolto ci capita di trovare nell’altro il riflesso del nostro mondo emotivo ci sentiamo più integri, più compiuti e anche più leggeri poiché finalmente troviamo una pelle psichica che ci avvolge e ci contiene.”
Il Buon ascolto e agli Ostacoli che ne impediscono il limpido fluire sono gli altri argomenti analizzati e in estrema sintesi potremmo dire che: “… un buon ascolto esige il riconoscimento dell’altro nella sua irriducibile diversità” così come “Non c’è un buon ascolto se manca l’apertura al nuovo”. Gli intralci al prestare attenzione sono tutti quelli che vedono il soggetto protagonista assoluto con tutti i propri pre-giudizi, intolleranze, fretta, in una parola chiusura nei confronti di chi esprime un punto di vista diverso dalle proprie aspettative.
Si contrappongono a quest’assenza di collegamento l’ascolto Empatico e l’ascolto Dialogico in termini di scambio libero e vicendevole senza giudizi ma costruito sul reciproco incontro e riconoscimento. Infatti prestare attenzione in modo reciproco e autentico produce in entrambi gli interlocutori un cambiamento tanto che dopo un’esperienza di questo tipo nessuno rimane più come prima. La trasformazione avviene anche nel nostro udire intimo, interiore, dove possiamo restare in contatto con le nostre zone fragili e dove il nostro io si trasforma proprio riconquistando il silenzio e l’introspezione in una disponibilità aperta verso noi stessi.
Anche in musica: restare aperti, disponibili alle novità, coltivare un grado di avventurosità possibile verso repertori, interpretazioni diverse dalle nostre rassicuranti certezze ci apre ad accogliere qualcosa che magari ancora non conosciamo così bene. “ Un apprendere che, per essere autentico, comporta un disapprendere quanto si è precedentemente strutturato”.
L’esercizio dell’attesa rappresenta un tempo per l’interlocutore di esprimere il proprio sentire, un tempo proprio, giusto per sé. Anche l’aspettativa è mutuabile in musica: l’attesa come il tempo in cui il l’interpretazione del brano si struttura e ci permette di entrare in eco con esso, in una risonanza empatica e incarnata tra ascoltatore e interprete.
Nella seconda parte del libro tre capitoli sono dedicati all’ascolto del Corpo includendo il volto
gli occhi, la voce e l’orecchio considerando psiche e corpo come due realtà coincidenti dove l’identità individuale vive nell’esperienza corporea personale.
“Il nostro corpo e il corpo dell’altro sono corpi vivi, corpi vissuti. Soprattutto sono corpi-biografia, corpi-messaggi, corpi che parlano, che comunicano, che possiedono un loro linguaggio. Sono corpi, quindi, che vanno ascoltati”.
Nel capitolo Ascoltare oltre la voce e oltre l’orecchio si pone l’accento sull’importanza del suono della voce, della sua sonorità specifica. “ Non c’è buon ascolto se è carente l’attenzione alla sonorità della voce.” “La voce è l’anima che si fa suono”. La voce esprime suo malgrado tutte le sfumature emotive del sentire interiore è in qualche modo lo specchio riflettente dell’intimità personale. Il riferimento principale è agli studi di A. Tomatis sulla funzione dell’orecchio nell’ascolto come atto intellettuale ed emotivamente implicato nella relazione con l’altro.
Il testo termina con due capitoli dedicati all’Ascoltare il Dolore e all’Ascolto che Guarisce in termini di riconoscimento autentico e proprio dell’altro da sé. Tale identificazione sarà preceduta da un buon ascolto capace di conservare amorevolmente ciò che l’individuo dice o non dice con la parola. “Se la sofferenza è partecipata c’è meno sofferenza. E’ questo il modo vero per alleviare il dolore”. “Possiamo dire che c’è autentico ascolto del dolore quando si è disposti a elaborare dentro di sé la rappresentazione mentale della sofferenza dell’altro”.
Nella pratica dell’udire ci si dispone in una sintonizzazione che ci permette di prendersi cura dell’altro pur rimanendo sintonizzati sul proprio sentire emotivo.
Vi suggerisco la lettura di questo libro che ci fa riflettere profondamente sulla dimensione dell’ascolto personale e interpersonale. Un ascolto che ci vede tutti implicati nel nostro quotidiano ma anche nello specifico della nostra professione di docenti dove l’avventura dell’insegnare include la valorizzazione delle individualità, della curiosità di ciascuno insieme a una qualità di ascolto attento e continuamente sintonizzato sul presente vivo dell’incontro.
Anche nella pratica musicale si concreta un presente nel qui e ora fatto di aggiustamenti in tempo reale che interprete e ascoltatore riflettono a specchio in una sintonizzazione incarnata fin dal sentire più profondo e intimo. L’esperienza musicale è sempre un’esperienza di ascolto sia personale che collettivamente condivisa e con la lettura di questo libro è possibile fare una traslazione sull’ascolto sonoro e musicale ampliando così il nostro ventaglio riflessivo anche su sponde più propriamente vibranti.
Alessandra Seggi

VITTORIO LUIGI CASTELLAZZI è psicologo clinico, psicoterapeuta-psicoanalista, insegna Tecniche proiettive e psicodiagnosi della personalità all’Università Salesiana di Roma. Ha tenuto corsi d Psicologia dello sviluppo e Psicopatologia dello sviluppo all’Università Lumsa e all’Università degli Studi di Roma –Tre. Membro della Society for Personality Assessment e l’International Rorschach Society. Ha fondato la “Scuola Rorschach e altre tecniche proiettive” dell’Università Salesiana.
Ascoltarsi, ascoltare
Le vie dell’incontro e del dialogo – Edizione Magi 2011